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UCRAINA “DELENDA EST”

La follia psicopatica del megalomane di turno  pensa che l’Ucraina dev’essere distrutta; i Paesi aderenti all’Europa che stentano, con tutti i personalismi stupido-patriottici possibili, a costituire, finalmente, un’unica realtà politico-economica; la smania egemonica, mai veramente dissimulata, di alcune grandi nazioni che, nonostante la dura lezione della storia passata, continuano a regalarci distruzione e morte. La guerra, fra le innumerevoli iatture che si porta dietro, distrugge anche la cultura ed al contempo ne favorisce odiosamente il contrabbando di materiali artistico-culturale. In questo contesto Audrey Azoulay, Direttore Generale dell’UNESCO, all’inizio del conflitto, ha espresso la sua preoccupazione Dobbiamo salvaguardare il patrimonio culturale dell’Ucraina, come testimonianza del passato ma anche come catalizzatore per la pace e la coesione per il futuro, che la comunità internazionale comunitaria ha il dovere di proteggere e preservare. L’UNESCO rafforza infatti le misure di protezione. La prima sfida è quella di contrassegnare i siti e i monumenti del patrimonio culturale e ricordare il loro status speciale di aree protette ai sensi del diritto internazionale, L’Ente è inoltre in contatto permanente con tutte le istituzioni pertinenti, nonché con i Professionisti della cultura ucraina, per valutare insieme, ora per ora, l’evolversi della situazione e rafforzare la protezione dei beni culturali. La stessa organizzazione provvede, di totale supporto alle autorità ucraine, nel contrassegno dei siti e monumenti culturali con l’emblema distintivo “Scudo blu” secondo i dettami della Convenzione dell’Aia del 1954 emanata a tutela e protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato al fine di prevenire danni intenzionali o accidentali :…”La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato è sancita nella Convenzione dell’Aja del 1954, ratificata in Italia nel 1958. Essa stabilisce che la protezione di tali beni ne comporta la salvaguardia e il rispetto; raccomanda ai Paesi membri di astenersi dall’esporli a condizioni di rischio o distruzione in casi di conflitto, predispone, tra l’altro, nell’ambito delle forze armate, personale specializzato per la vigilanza e istituisce un regime di “protezione speciale” per un numero limitato di rifugi destinati a proteggere tale patrimonio in caso di conflitto.” I siti che fanno parte della lista del patrimonio mondiale, come il sito di “Kiev: Cattedrale di Santa Sofia e relativi edifici monastici, Kyiv-Pechersk Lavra”, sono considerati, in questo contesto temporale, una priorità. Il primo processo di contrassegno e marcatura è incominciato pochi giorni fa a partire dal sito di “L’viv – l’Ensemble del Centro Storico”.

Monitoraggio satellitare dei danni

Il riscontro di ciò che questa calamità sta producendo sul territorio viene puntualmente monitorata dall’UNESCO che, con il supporto del suo partner UNITAR (Istituto delle Nazioni Unite per la Formazione e la Ricerca), analizza le immagini satellitari dei siti prioritari, che sono in pericolo o già colpiti, al fine di valutarne i danni. Per rispondere a queste esigenze, l’UNESCO ha mobilitato partner internazionali per dare, nel più breve tempo possibile, risposta alle emergenze riunendo in un unico organismo di d’ordinamento UNITAR, il Centro internazionale per lo studio della conservazione e del restauro dei beni culturali (ICCROM), Blue Shield International, il Consiglio internazionale dei musei (ICOM), l’International Council on Monuments and Sites (ICOMOS) e ALIPH, tra gli altri.

Possibile aumento del contrabbando di materiale culturale

L’ICOM  raccomanda a tutte le parti interessate una vigilanza tassativa sul possibile aumento del contrabbando di materiale culturale dalla regione e ricorda a tutti i governi nazionali  i loro obblighi legali internazionali di tutela del patrimonio culturale mobile ai sensi della Convenzione sull’UNESCO del 1970 sulle misure da adottare per vietare e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali, e la Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali sottratti o esportati illecitamente, senza dimenticare le altre convenzioni  per la tutela del patrimonio culturale comune dell’umanità. Il passato è ricco di esempi di offese al patrimonio della collettività. L’esercito di Napoleone Bonaparte, tra il 1796 e il 1814, durante le campagne militari francesi, depredò l’Italia di un gran numero di opere servite ad arricchire il Museo del Louvre, allora Musée Central des Arts, aperto nel 1793. Un bottino, spacciato per legittimo grazie a clausole di trattati di pace e commissioni di pseudo asserviti esperti. Nel 1815 con il Congresso di Vienna lo Stato Pontificio e le istituzioni italiane ottennero la restituzione di una parte delle opere. Lo stesso Antonio Canova, scultore di cui quest’anno si celebrano i duecento anni dalla morte riuscì, attraverso la propria credibilità, a riottenere parte dei beni pontifici depredati. Massimo Cultraro, archeologo e ricercatore dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale, in una recente pubblicazione, ricorda un interessante episodio relativo alla “riconquista” del nostro patrimonio culturale in seguito all’armistizio del 3 novembre 1918 che impose all’impero austro-ungarico la cessazione delle ostilità contro l’Italia. Il generale Roberto Segre istituì una commissione ‘artistica’ per recuperare opere, manoscritti e volumi antichi che avevano preso la strada per Vienna. “Il nucleo che raggiunge la capitale austriaca il 28 dicembre 1918 è costituito da una decina di persone scelte tra ex combattenti, con laurea umanistica e vicini per filiazione religiosa. Tra questi, Paolo D’Ancona, Gino Fogolari nipote di Cesare Battisti, Giulio Coggiola, testimoni non solo di distruzioni del patrimonio italiano, come il soffitto affrescato del Tiepolo nella Chiesa degli Scalzi a Venezia, ma anche dei saccheggi dell’esercito imperiale dopo la disfatta di Caporetto”, si legge nell’articolo “Monuments men a Vienna a caccia di tesori trafugati” (La Sicilia, 26 gennaio 2017). “Nel giro di appena due mesi Paolo D’Ancona identifica, nascoste in magazzini e palazzi nobiliari  della Ringstrasse, centinaia di opere d’arte trafugate”.

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