
Nel Bosco di Curadureddu, domenica 14 maggio, il Museo Organica diretto da Giannella Demuro ha inaugurato, con la mostra PURCHE’ SIA VERDE?” dell’artista Giorgio Urgeghe, gli eventi che aprono il calendario del 2023 che prevede, da maggio a dicembre, un fitto calendario di mostre, laboratori, performance, happening, concerti e appuntamenti di trekking culturale dedicati alla scoperta dei luoghi, delle eccellenze del territorio e alla riflessione sui temidella sostenibilità ambientale.
La mostra presentata in catalogo dal curatore e critico d’arte Mariolina Cosseddu, della quale ospitiamo il testo critico, racconta un sentire comune nei confronti della natura vista attraverso la cifra personale dell’artista che la rappresenta dentro una installazione di opere dal sapore neo-concettuale. (RP)
PURCHE’ SIA VERDE?
di Mariolina Cosseddu
Il titolo della mostra, di fatto, non richiede punto di domanda: eppure quel segno grafico dà senso agli interrogativi che da tempo si pone Giorgio Urgeghe.
E’ indubbia verità che il verde sia il lasciapassare che, ultimamente, apre qualsiasi porta e ci proietta in mondi ideali e consolatori. Un mondo di cose buone, giuste, legittime, che salvano il mondo e placano la cattiva coscienza. Viviamo il tempo del green, del verde abbagliante che invita al benessere, a riconquistare il paradiso perduto, a capovolgere la realtà mortificante. Il verde rappresenta dunque un’inversione di marcia rispetto al passato, una presa di consapevolezza che salva capra e cavoli, una missione di massa: Linea verde, Il secolo verde, Racconti verdi, giusto per citare alcuni tra i titoli di successo in TV e in libreria.
Una piccola parola che si trascina dietro una montagna di campi d’attualità: clima, ambiente, natura, ecologia, salute e un’infinità di altre cose. Ma sarà davvero così? si chiede sgomento Giorgio Urgeghe. Basta mettersi dalla parte del verde (ma in che modo poi?) per lasciarsi alle spalle la natura martoriata, i disastri ambientali, i cambiamenti climatici?
Che si stia costruendo, anzi già in opera da tempo, un altro mito della cultura odierna pronta a rattoppare ferite purulente?
Oltre cinquanta anni fa Roland Barthes pubblicava per Einaudi un saggio di successo: Miti d’0ggi. Lucida, dissacrante analisi dei comportamenti, degli oggetti, dell’immaginario della società consumistica. A differenza dei miti antichi, quelli creati dalla modernità, svuotati dell’aura sacrale e di valori reali in rapporto alla Storia e alla Natura, diventano modelli di comportamento spesso ambigui e fuorvianti. Credo che Barthes non avrebbe difficoltà a inserire, nella sua casistica, questa nuova formula, che di fatto mette tutti d’accordo, permettendo così di oltrepassare differenze sociali e culturali. Un comportamento generalizzato, un colore per tutti. Come solo i miti sanno fare, facendoci dimenticare il reale storico e lasciando vagare la mente nel fantastico. La potenza dei miti, Barhes la chiama miti di parole. Per metterne a nudo il loro potenziale fragile e temporaneo, pronto a scadere. Allo stesso tempo ne riconosce la loro necessità sociale ed esistenziale in quanto l’uomo ha bisogno di appigli, di certezze e verità, seppure fangose o inutili, per arginare le paure. Il discorso ovviamente ci porterebbe troppo lontano. Fermiamoci qui. E chiediamoci, semplicemente: Vivere verde, perché no? Ma la formula è davvero praticabile o è solo uno slogan buono per tutte le stagioni?
Facciamo un’altra piccola digressione che ci porta ad osservare la storia dei colori come storia delle civiltà, passate e recenti. Attraversato dall’antichità e giunto senza pause fino all’era industriale, il territorio del colore è specchio, di volta in volta, del potere dominante come delle simbologie popolari, dei sistemi religiosi o delle illecite superstizioni. Inoltrarsi in questo ambito significa fare i conti con una ricchissima bibliografia che apre scenari affascinanti, sia in campo artistico che in quello quotidiano. “Il colore non è solo un colore” ci ricorda Kassia St Clair nel bel volume “Atlante sentimentale dei colori”, è, prima di tutto, “una costruzione culturale” che subisce nel tempo usi, significati e interpretazioni differenti e sempre variabili. Ce lo racconta Manlio Brusatin nel saggio “Storia dei colori” dove, chiamando in causa l’altro grande esperto Rudolf Steiner, sottolinea l’azione “simbolica e morale del colore oltre ad una funzione profetica e terapeutica teorizzata da Steiner”. Ma il massimo specialista oggi sembra essere Michel Pastoureau, che questo ambito lo ha indagato in ogni dove tanto da consacrargli le sue strepitose capacità di studioso. Scrittore prolifico ha dedicato al colore, oltre una serie di testi piacevoli e intriganti, vere e proprie monografie, tra cui non poteva mancare il verde. Associato nel tempo a “tutto ciò che è mutevole, effimero e volubile, il verde ha simboleggiato l’infanzia, l’amore, la speranza, la fortuna, il gioco, il caso, il denaro, il destino. Solo dal Romanticismo è divenuto il colore della natura e, in seguito, quello della libertà, della salute, dell’igiene….Dopo essere stato a lungo in disparte, malvisto o respinto, oggi si vede affidare l’impossibile missione di salvare il pianeta”.