HomeCulturaartiANTONIO MALLUS “GEOMETRIE SIMBOLICHE” – PARCO DELLE ARTI DI MOLINEDDU DALL’11 DICEMBRE 2022

ANTONIO MALLUS “GEOMETRIE SIMBOLICHE” – PARCO DELLE ARTI DI MOLINEDDU DALL’11 DICEMBRE 2022

Il Parco delle arti di Molineddu, nel territorio di Ossi in provincia di Sassari ospita, nella sua incantata veste di colori autunnali, la mostra del pittore Antonio Mallusa cura del critico e storico dell’arte Mariolina Cosseddu della quale ospitiamo il testo critico. (R.P.)

                                

GEOMETRIE SIMBOLICHE

di Mariolina Cosseddu

La vicenda artistica di Antonio Mallus si configura  all’interno della cerchia di pittori che hanno fatto, di un preciso dettato visivo, una scelta da subito definitiva, incanalata su un sistema moltiplicabile all’infinito pur nella stringente sintassi adottata. Vale a dire che, giovanissimo, si è orientato, senza ripensamenti, su un terreno di ascendenza neoinformale scoprendone, nel tempo, tutte le valenze espressive e materiche e caricandole sempre più di richiami concettuali e simbolici. Oltrechè di ramificazioni nei  territori adiacenti del neoespressionismo astratto, nella pittura graffitista e nell’arte concettuale e,  spesso, nel linguaggi di un certo rivisitato primitivismo. Queste molteplici componenti alimentano un microcosmo conchiuso e personalissimo, una narrazione pittorica irrequieta e labirintica, che racconta una passione turbolenta come i demoni che la animano.

                         

La sua formazione è già una presa di coscienza del destino futuro del proprio linguaggio. Allievo di Gaetano Brundu, maestro della neoavanguardia isolana, figura carismatica di una scuola-laboratorio di ingegni e sollecitazioni e indiscusso modello di un’arte di impegno e di rottura: la sua lezione mette radici profonde negli allievi più motivati e li sospinge nell’attraversamento del colore come una continua scoperta, del segno come atto di rivolta, della gestualità come azione altamente significativa. E, ancora, del lavoro didattico come etica dell’impegno. 

Il resto lo fanno figure di alto rilievo come quella di Foiso Fois o, ancora, Primo Pantoli,  Luigi Mazzarelli o Giuseppe Pettinau che indirizzano una allertata e prensile coscienza verso territori tutti da conquistare.  

Con questo bagaglio vive a Firenze la vita accademica consolidando quegli insegnamenti e indirizzandoli verso orizzonti internazionali di forti suggestioni che nutriranno una scelta già nell’aria. Il rientro nell’isola coincide con una ragione di vita: l’insegnamento è amorevole dedizione ereditata e rinfuocata da un temperamento che la pittura andrà rivelando e mettendo a nudo,  mentre la scuola alimenta il senso di disciplina necessario all’una e all’altra delle sue   conciliate  passioni.  

L’intenzionale e volitivo registro linguistico, mai abbandonato dunque nel corso di quaranta anni di attività senza fughe né ribaltamenti, si rende manifesto fin dagli anni Ottanta, quando un giovane Mallus partecipa del clima effervescente che, prima a Cagliari e subito dopo a Sassari, lo vede muoversi all’interno di una stagione frizzante e fertilissima dell’arte contemporanea in Sardegna. A Cagliari, nel 1985, è  parte del gruppo di artisti e intellettuali raccolti attorno alla rivista “Thelema” che gli consente le prime esposizioni collettive mentre già nel 1988 allestisce la sua prima personale alla galleria “La Bacheca” e diventa parte della rassegna “Cagliari 88” alla Galleria comunale d’arte della città.  Il contesto sassarese dei primi anni Novanta lo attrae con la nuova vitalità che si respira  in una situazione di prestigio rispetto a qualsiasi altro contesto isolano : mostre come “Epifania” e “Arte incontro all’arte”  lo mettono a contatto con un vasto gruppo di lavoro e di sperimentazione per lui determinante nel consolidamento di una cifra stilistica di cui andrà indagando le molteplici potenzialità espressive.

                                                         

Svanito il tempo dei gruppi e delle aggregazioni, delle formazioni collettive,  Antonio Mallus porta avanti ininterrottamente il proprio lavoro, in quell’esercizio del quotidiano che appartiene solo a chi crede fermamente nel proprio fare, mettendo alla prova le capacità di resistenza di un dettato pittorico ormai fortemente connotato, mai ripetitivo e mai esaurito, sempre aperto a nuove incursioni e nuove suggestioni operative. Dalle “Arazzopitture” di fine anni Settanta ai monocromi del decennio successivo, dai lavori di convulsa gestualità fino alle costruzioni segniche più strutturate quasi archittetonicamente, Mallus sembra elaborare e affinare suggestioni sempre differenti, vissute e filtrate con consapevole senso storico e critico, con la volontà a creare un proprio itinerario fatto di debiti e restituzioni. Di omaggi e di nuovi percorsi esistenziali. Come dice di se stesso “Credevo di essere un Kandiskyano e ho scoperto di essere un neolitico”.  

Inoltrarsi oggi nella pittura di Antonio Mallus equivale a immergersi in un bagno di colore, lasciarsi travolgere dal flusso vorticoso dei segni e abbandonarsi all’effetto ipnotico del tutto. Una buona dose di ragionevolezza consente comunque di risalire dal fondo del magma, districarsi nel sistema incalzante di sollecitazioni visive prima di ricondurre all’ordine di un preciso sistema segnico il ritmo frenetico di cui siamo stati investiti. Un approccio inevitabile di questo tipo comporta una prima considerazione:  il lavoro di Mallus è un intricato viluppo di emozioni generate dal fare stesso della pittura intesa  come forza primaria che trova la sua rivelazione nella gestualità con cui viene aggredita la tela e nel turbinio forsennato del colore. L’esperienza della pittura è per Mallus azione fondante  e generatrice di un universo segnico che ne genera a sua volta un altro e un altro ancora, in una sequenza infinita di opere che, come partiture musicali, non esauriscono mai il loro motivo originario. Ma ciò che a prima vista appare frutto di enfasi romanticamente concepita, in realtà è risultato di un processo meditato nel tempo, di una prassi sperimentata con cura maniacale e compulsiva, di un progetto prima di tutto mentale che la mano trasferisce sulla tela quasi per forza propria, come sua naturale destinazione.  Il costrutto mentale è di fatto una griglia entro cui incanalare il tumulto emozionale che lo spinge ad agire sulla superficie : qui entra in scena l’abilità pragmatica che controlla il farsi dell’opera sottoposta ad un sorvegliatissimo trattamento. Sia che lavori con gli oli sia con le tecniche miste Mallus procede secondo una ritualità che comporta, prima di tutto una disposizione all’agire fatta di chiarezza operativa e condizione viscerale pronta a riversarsi nella pioggia di lapilli e meteoriti con cui satura lo spazio pittorico. Destinato a espandersi o contrarsi a seconda delle spinte impresse.

Nei lavori ad olio i passaggi strutturali lo vedono intento a definire la danza cromatica dei segni compositivi attraverso l’intervento diretto del colore spremuto dai tubetti sulla tela  per condensare la materia che pulsa così di vita propria in densità e consistenza plastica. Un discorso amoroso con il colore, il suo, una relazione fisica che sfida la nevrosi e approda a vertiginose rappresentazioni. Lo spazio non ha più limitazioni e si organizza in un tessuto scandito da pennellate incalzanti eppure governate da scansioni ritmiche che  creano una elettrizzata geografia cromatica di tratti, punti, cerchi, linee di materia dove si sente l’eco del gesto con cui sono dati. In questi arazzi luminosi e attrattivi si possono intuire, oltre quella cortina di stesure accese ed eccitate,  paesaggi di luce di chiara marca mediterranea.

Se ognuno di questi momenti si offre come singola esperienza autonoma, diverso è il lavoro sulle carte concepite come sequenze di un discorso dialettico e iterato. Da accogliere nella sua complessità.                     

 Qui stratificazioni di materie diverse (dagli inchiostri agli smalti all’argento e, di seguito, pastelli ad olio, campiture monocrome di ecolina, gessetti e carboncino)  si dispongono, nelle opere con tecniche miste, con gerarchica presenza in una partitura segnica  in cui agiscono cautela e sorpresa: la prima per l’esattezza  con cui vanno trattate le materie e la seconda per le imponderabili reazioni chimiche mai del tutto prevedibili. Ancora una volta metodo rigoroso e improvvisazione si legano senza soluzioni di continuo in un’ansia di completezza da smaltire nelle infinite sequenze che ne derivano e che si richiamano a vicenda. Perché la pittura, per Antonio Mallus, è fatto personale e collettivo. Come dimostrano gli “inviti” che dona al pubblico in occasione delle sue mostre, in un atto di partecipazione e condivisione che sembra discendere da un mondo antico per un uomo che vive dentro un fiabesco a  colori. 

                                                     

I lavori in mostra appartengono agli ultimi anni e si caratterizzano per un costrutto segnico di  evidente sapore simbolico giocato all’interno di un fulcro centrale costituito da forme geometriche semplificate e dinamiche. Una inaspettata archeologia visiva sembra prendere forma con un inedito bisogno di ordine e simmetria, di rapporti e relazioni tra le componenti in gioco. Così,  un forte  senso gravitazionale attrae lo sguardo al centro della composizione e consente di riflettere sul nuovo sistema percettivo messo in atto da Mallus . Forme acute e circolari rimandano a un alfabeto mistico di comunità arcaiche ed enigmatiche dove si intravvede l’eco lontana di misteriosi grafemi su pareti rocciose. Il colore antinaturalistico e spesso ribassato crea, nella nuova impaginazione,  una sorta di  spazio mentale su cui si dispone una scrittura simbolica tra geroglifici e arte rupestre. 

 Sul valore e significato degli elementi primari di una grammatica in movimento ha scritto con lucidità e precisione Paolo Lai a cui si rimanda nel bel saggio di questo volume.

  Mi preme solo soffermarmi su un ulteriore condizione della frenetica pittura di Antonio Mallus, in qualsiasi modalità venga attuata.  Sul ritmo dunque che la sua calligrafia crea con andamenti differenti ma sempre agitati da  cadenzate traiettorie diversamente orientate in frequenza e dosati intervalli. Vale a dire che il suo impianto segnico-cromatico è mosso da qualcosa di simile ad un andamento musicale, da un’energia a volte convulsa, a volte più distesa, dove è chiaro che agiscono moduli fissi e improvvisate variazioni. Come una “rumorosa” e dirompente onda jazz che non sai mai dove ti porti.

 Ma è chiaro anche che il gioco combinatorio dei suoi dipinti vada alla ricerca in ogni caso di quei  valori propri dell’astrazione europea di forma, equilibrio e corrispondenze dove la modulazione dei “graffitogrammi” ( la definizione è sua)  deve condurre all’ armonia del tutto.  Ribadisce così il proprio personale e autenticamente sentito linguaggio, sostenuto, come ammette lui stesso, da quel tanto di follia che gli fa credere caparbiamente che dipingere possa avere una giusta ragione d’accadere.

  

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