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Di cemento, libertà di ricerca e altre battaglie ambientali

Il Limite / 83

Di cemento, libertà di ricerca e altre battaglie ambientali

di Raniero Regni 

Questa settimana due fatti hanno attirato l’attenzione dell’autore di questa rubrica. Il primo. Lo scorso sabato, al termine di una delle straordinarie puntate della trasmissione Sapiens, trasmessa da Rai 3, il geologo Mario Tozzi si è inventato un finale davvero geniale. Per tutta la puntata ha parlato della storia della vita sulla Terra lunga 4,7 miliardi di anni, dalla creazione dell’atmosfera respirabile grazie alle piante e alla fotosintesi clorofilliana, attraverso le cinque estinzioni di massa che hanno rischiato di far scomparire la vita dal nostro pianeta, alla brulicante biodiversità successiva. Il viaggio della vita, il miracolo fragile, improbabile e meravigliosamente differenziato  degli organismi viventi che hanno reso il nostro pianeta unico e speciale. Dopo questa bellissima galoppata, che genera ammirazione e rispetto per la creatività dell’evoluzione, il conduttore ha concluso con un riferimento al cemento, al calcestruzzo e al cemento armato da esso derivati. Con questo impasto, in poco più di cento anni, abbiamo ricoperto il pianeta di un’enorme quantità di costruzioni che superano, per peso, quelle della biomassa vivente prodotta in milioni di anni di evoluzione. Abbiamo cementificato in pochi decenni una gran parte del globo. I sapiens, arrivati proprio in questi giorni a otto miliardi, hanno cavalcato l’avventura di questo impasto magico. Ma alla fine il discorso è stato inchiodato da una domanda: è stata un’epopea positiva oppure ne vediamo oggi tutti i limiti? La domanda appare quasi retorica. Abbiamo cementificato il mondo e non sappiamo neanche quanto durerà l’efficienza di questo materiale. Il cemento ha avuto un impatto terrificante sul pianeta, ha detto Tozzi, “è una vera arma di distruzione ambientale di massa”. L’industria del cemento ha depredato la superficie terrestre e ha prodotto gas serra in un distruttivo assalto ambientale, favorendo anche la monotona standardizzazione costruttiva. Un manto grigio sulla superficie verde e marrone della Terra e tutto questo senza sapere la tenuta nel tempo. “Abbiamo costruito una specie di gabbia da cui è molto difficile uscire e che sta imprigionando anche le generazioni future”. È necessario uscire dalla gabbia e intraprendere un’altra strada.

Vengo al secondo fatto. Lo scorso 15 febbraio, l’Università di Milano-Bicocca e Eni hanno firmato un Joint Research Agreement (accordo di ricerca congiunta) della durata di cinque anni, in cui si sono impegnate a collaborare su “progetti di ricerca di interesse comune” relativi alla transizione energetica (batterie, geotermia, geo-bio-idro-chimica di reservoir fratturati, e fusione magnetica, tra le altre cose). Dopo diversi tentativi infruttuosi di ottenere chiarimenti su questa partnership, il prof. Marco Grasso ha deciso di dimettersi dall’incarico di direttore dell’unità di ricerca “Antropocene” del Centro di Studi Interdisciplinari in Economia, Psicologia e Scienze Sociali (Ciseps) dell’Università Bicocca. L’unità “Antropocene” si occupa, tra l’altro, di questioni legate alla transizione energetica, che è appunto al centro dell’accordo fra l’università e Eni. “Con le dimissioni da questo incarico – ha scritto il Professore nella sua lettera aperta inviata alla stampa – intendo prendere le distanze ufficialmente dall’accordo che non condivido fra la mia università e il gigante italiano dei combustibili fossili. I motivi di questa non condivisione sono diversi e non derivano da pregiudizi ideologici, quanto piuttosto dalla mia conoscenza della questione che deriva da anni di ricerca e di pubblicazioni scientifiche sul ruolo e le responsabilità dell’industria petrolifera nei cambiamenti climatici. In generale, sono preoccupato da tale collaborazione in un ambito di ricerca – la transizione energetica – che aspira a risolvere i problemi che Eni, e il resto dell’industria petrolifera mondiale, causa e continua a esacerbare. Ritengo che questo rapporto sia antitetico ai valori accademici e sociali fondamentali delle università, che ne possa addirittura compromettere la capacità di affrontare l’emergenza climatica. A mio parere questo tipo di collaborazioni contravvengono agli impegni dichiarati dalle università – e anche dalla mia università – per la sostenibilità. Le compagnie dei combustibili fossili hanno nascosto, banalizzato e distorto la scienza”.

I liberi ricercatori sono scesi sul piede di guerra. La ricerca universitaria deve rimanere assolutamente indipendente e non accettare compromessi o “regali”. Ma, proprio mentre alla Bicocca succedeva questo, in un’università umbra i cementieri incontravano gli studenti di chimica per decantare la loro impresa dipinta di verde. Il verde in funzione decorativa!

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