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Cambiare mentalità: dall’educazione ambientale all’educazione ecologica

Il limite / 79

di Raniero regni

 

La mentalità è ciò che cambia più lentamente. Storia della mentalità, storia della lentezza nella storia.

                                                                                              J. Le Goff

 

 Scrivendo un testo di pedagogia interculturale sul dialogo, prima che tra le culture, tra le diverse civiltà, mi è capitato di imbattermi nel concetto di mentalità e di scoprire che la mentalità, ciò che caratterizza una civiltà, cambia ma ad una velocità molto più lenta rispetto alle strutture economiche, alle innovazioni tecnologiche o alle pratiche sociali. Quasi quasi si può parlare di una lentezza dello spirito rispetto alla materia. La mentalità non è la semplice ideologia e non rientra neanche nella sola storia delle idee, non è neanche una forma di inconscio collettivo, anche se ne possiede la mancanza di consapevolezza. Consiste in una serie di atteggiamenti profondi che ci fanno vedere il mondo in una certa maniera, anche quando il mondo è cambiato magari proprio a causa nostra.

La pedagogia non meglio della politica, a cui spesso è collegata, arranca nel prendere coscienza dei mutamenti radicali che l’azione umana sta provocando sulla biosfera e comincia solo ora ad includere nelle sue preoccupazioni l’educazione ambientale. Allora cominciano a diffondersi progetti didattici ispirati ad una forma abbastanza superficiale ed utilitaristica di comportamento a cui si vuole educare le giovani generazioni. La raccolta differenziata, il risparmio energetico, qualche lettura sugli ecosistemi. Se va bene, ma è sempre più raro, aumentano le escursioni in ambienti naturali, si scopre l’importanza dell’out door education, l’utilità di portare l’aula nel bosco, e così via.

Non sottovaluto l’impegno della scuola in questa direzione ma l’azione appare veramente minima rispetto all’urgenza e alla gravità della situazione.  Anche se in buona fede, sembra di assistere ad una involontaria forma di green washing didattico. Non prendendo di petto le idee di fondo e i comportamenti quotidiani, in una parola, non affrontando criticamente la mentalità dominante, questo sforzo appare sempre più simile all’affrontare l’incendio di una foresta con una pistola ad acqua.

Ecco che l’educazione ambientale, quale è stata pensata e praticata sino ad oggi, appare del tutto inadeguata alla sfida del nostro tempo. Quello di cui si ha bisogno è un cambiamento della mentalità, del rapporto profondo tra esseri umani e natura da sviluppare velocemente nelle nuove generazioni. Ma come sarà possibile, se proprio i gli adulti al potere, i padri e le madri, i maestri e le maestre, non possiedono questa sensibilità e urgenza? Qualcuno ha scritto giustamente che ci vorrebbe una vera e propria Carta dell’educazione ecologica (vedi la proposta della pedagogista L. Mortari). Un documento che fosse il frutto di un’elaborazione profonda di come deve cambiare il rapporto degli umani con gli altri esseri viventi, attraverso quali strumenti concettuali, attraverso quale nuovo sguardo, attraverso quale nuovo rapporto con il corpo e i sensi, instaurare un nuovo dialogo con la natura.  Ma anche come deve cambiare il rapporto delle nostre società con se stesse, come deve cambiare la tecnologia e l’economia, la produzione e il consumo. E soprattutto l’etica. Infatti la pedagogia confina sempre con la politica e con l’etica, la prima rappresenta una compagna di viaggio potente e pericolosa, una forza inevitabile ma da cui stare in guardia. La seconda, parla come l’educazione alla coscienza, possiede anch’essa i suoi limiti e le sue doppiezze, però rappresenta un’alleata indispensabile. L’educazione ecologica deve costruire un nuovo paradigma con cui pensare il mondo, trovando un terreno comune tra le scienze naturali e le scienze umanistiche, dialogando strettamente con la politica ambientale ed energetica, con l’economia civile, da una parte, e contribuendo a far penetrare l’etica della responsabilità nei confronti del futuro del pianeta, dall’altra, deve incamminarsi velocemente verso un’educazione ecologia che tocchi in profondità la scienza e la coscienza.

Ma questa forma necessaria di pedagogia sociale dovrà affrontare una realtà difficile da digerire di fronte alla quale, come ha scritto B. Latour, il grande sociologo e filosofo del nuovo ciclo climatico, recentemente scomparso, “siamo tutti controrivoluzionari che tentano di minimizzare le conseguenze di una rivoluzione che è avvenuta senza di noi, contro di noi e, allo stesso tempo, tramite noi”.

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