HomeCulturaartiIO RESPIRO DI GIOVANNA SECCHI – CEDAP, Tempio Pausania 22 MAGGIO 2022

IO RESPIRO DI GIOVANNA SECCHI – CEDAP, Tempio Pausania 22 MAGGIO 2022

In questo numero ospitiamo la presentazione della mostra “IO RESPIRO” di Giovanna Secchi che ha aperto i battenti, il 22 maggio 2022, nello spazio CEDAP di Tempio Pausania, a cura del critico e storico dell’arte Mariolina Cosseddu. Un museo giovanissimo dedicato ai linguaggi visivi contemporanei, alle pendici del Limbara, a Tempio Pausania ( Sassari) che, allo stesso tempo, è anche Centro per l’Educazione Ambientale e la Sostenibilità. Il doppio ruolo assunto dallo spazio arricchisce il progetto “ORGANICA” che focalizza la propria ricerca sul rapporto uomo-ambiente non solo da un punto di vista artistico, ma anche da un punto di vista ambientale, teorico, naturalistico. (R.P)

IO RESPIRO

di Mariolina Cosseddu

“Nel verde chiaro e brillante del mentastro, dentro il colore opaco dell’assenzio e dell’elicriso, tingo le mie tele e le mie carte e preparo così i paesaggi della mia storia che esiste dentro il respiro della natura”

Benvenuti nel labirinto arboreo di Giovanna Secchi, negli intricati percorsi vegetali a cui ci accostiamo guidati dalle sue parole, sicuri di trovare la chiave giusta per attraversarli. Lei stessa ce la indica senza esitazioni: ogni paesaggio dipinto o disegnato è una tessera del proprio vissuto, equazione algebrica di se stessa, autoritratto moltiplicato all’infinito.

La corrispondenza è latente, sospesa nel linearismo di segni eleganti e sinuosi che invadono tele, legni, carte, che acchiappano colore  e luminosità prima di disperdersi nel gioco compositivo dove si intrappolano simboli e forme naturalistiche di essenziale e controllata presenza. Occorre allertare la percezione visiva di fronte a questi lavori, spingere le sensazioni tattili e olfattive per cogliere quel respiro della natura che lei sente nei boschi della sua memoria e che coincide con il proprio battito in una simbiosi vitale.

Abbracciata da giovanissima la ricerca informale, la trasforma negli anni in una serrata indagine sulla materia e sulle possibilità di metamorfosi delle sostanze manipolate con  amorevole premura: carte, tele, legni, fili, lane, ma anche ottoni, acciaio, argenti, si offrono come campi della azione, dell’operosità manuale memore del lavoro femminile appreso in un’infanzia lontana. Questa ragazza di 82 anni come lei stessa si definisce, non ha perso neanche una briciola del temperamento indocile e fieramente combattivo che l’ha contraddistinta in passato e che l’ha resa figura imprescindibile della nostra storia artistica. Passata dapprima attraverso esperienze gestaltiche, elaborate subito dopo quelle di marca concettuale, affrontate, di volta in volta, tematiche sociali e  politiche, non ha mai smesso di tradurre le proprie posizioni intellettuali in opere concepite sempre come vissuto intimo e lacerante. Inquieta sotto un’apparente, cruda ironia dello sguardo, ha piegato, specialmente ora, la sua poetica verso una liricità più morbida e meditativa, più interiorizzata e viscerale. In questo nuovo contesto, il rapporto con la natura appare la condizione ideale per rappresentare gli scenari del suo sentire, la bruciante urgenza di un impegno etico e culturale.

Sul crinale tra una realtà figurativa rivelata per piccole epifanie e un dettato di raffinata astrazione segnica, Giovanna Secchi si muove alla ricerca di indizi, di pertugi, di trame in cui inserire i protagonisti di un tessuto di linee in movimento: tra forme leggere e flessibili, giocate nei contrasti tra bianchi e neri accesi da vampate di colore puro, si annidano le forme di un mondo animale mimetizzato nelle architetture segniche. Farfalle, topolini, scarabei, api, formiche, sono gli abitanti di un mondo conosciuto e immaginato, rivelato in silhouette di estrema sintesi a cui affida significati naturalistici e simbolici.  Valori simbolici che investono anche l’uso del colore, come si può vedere nelle opere in mostra: nei quattro pannelli che compongono la sequenza arborea di fusti e foglie, la variante cromatica offre una sottesa riflessione sul tempo della natura- specchio di quella degli uomini. Il ciclico ripetersi delle stagioni, la luminosità diurna che cede il passo al buio della notte, le trasformazioni dei giorni e il sentimento dei luoghi, sono motivi costanti della sua ricerca, quella che la porta a fare instancabilmente e che fa muovere le sue mani. Basta osservare da vicino questi lavori per cogliere l’abilità con cui ritaglia, incolla, compone e sovrappone strisce, forme, colori in sorprendenti arazzi  traforati.  All’insegna della leggerezza e della preziosità dell’ordito.

L’etica del lavoro, che condivide con gli artisti della sua generazione cresciuta sotto la guida di Mauro Manca, la porta a progettare l’opera come risposta alle emergenze di un presente oscuro e ingovernabile. La incontriamo così mentre dà espressione alle foreste che bruciano e  distruggono un patrimonio collettivo e, di contro, quel patrimonio lo celebra in una tavola imbandita con piatti-vegetazione, cibo e salvezza per tutti. Una mensa su cui ha trascritto le parole di un poeta colombiano che regala semi per un bosco futuro: “I semi sono pazienti e aspettano il loro luogo e il loro momento”.  I semi sono sulla tavola, a disposizione di chi ne vuole fare uso.

 

Emerge, dunque, in questa mostra ai piedi del Limbara, un aspetto di arte partecipata che si manifesta in particolare, nella condivisione con gli alunni di una scuola elementare, nella costruzione di un bosco fatto di tanti alberi  disegnati dai bambini fino a comporre un bosco di tutti.

Ritorna, così, dopo tanti anni, la sua vocazione pedagogica, quella che l’ha vista docente all’Istituto d’arte di Sassari prima e all’Accademia di Belle arti più tardi: anche qui l’impegno è lo stesso, il sogno è uguale, la speranza di una coscienza civica appresa nella prima età per cittadini consapevoli di domani. Per loro, e per noi adulti, ha preparato una fiaba disegnata in punta di china: Il  giardino dell’imperatore. Una fiaba visiva che occorre leggere come un libro aperto da sinistra a destra inseguendo un filo narrativo dettato dalle linee della terra su cui vive un albero in un cielo di stelle cadenti. Apparentemente giocosa e docilmente poetica è in realtà una garbata e malinconica meditazione sul tempo, come d’altronde tutto il suo tenace e paziente lavoro.

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