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La rivolta e il limite. Protesta generosa e contagio collettivo

“Mi ribello dunque siamo”. La rivolta, che nasce sempre da un moto etico individuale, diventa una forma di contagio collettivo, una forma di generosità che si batte per tutti.

Il limite ha uno stretto e sottile legame con la rivolta. Esiste una rivolta contro il limite che è quella del pensiero moderno, una sacrosanta rivolta contro la povertà, le malattie, lo sfruttamento. Questo genere di protesta generosa ha avuto il senso di una liberazione dall’oppressione. Ma poi il pensiero moderno ha portato alle estreme conseguenze questa rivolta. Dalla fine del Rinascimento l’essere umano, soprattutto in Occidente, ha ritenuto che il mondo intero fosse un oggetto disincantato di cui il dominio umano può disporre a suo piacere. Visto che le riserve naturali sono considerate inesauribili e gratuite, tutto ciò che viene preso dalla natura diventa fonte di profitto e base per una crescita infinita. Ma oggi, alla fine di quella parabola moderna, sappiamo che non è così, ci sono i limiti.

Esiste però un’altra dinamica che lega il limite alla rivolta, in una dinamica opposta a quella della rivolta contro il limite. È stato Albert Camus, il più grande e coerente teorizzatore del concetto di rivolta, a mettere in relazione quest’ultima con il limite. C’è una rivolta che nasce proprio dal senso etico del limite. Perché l’oppresso, che fino a quel momento aveva sempre sopportato, dice no? Perché, di fronte ad un “normale”, non più grave di tanti altri, atti di oppressione, si ribella? Perché ha scoperto dentro di sé un limite che non può essere superato. Fino ad ora ha detto sì, adesso dice no. Da questa rivolta individuale nasce poi una rivolta collettiva, si badi bene, da non confondere con la rivoluzione, che invece fa della storia l’unico assoluto a cui sacrificare nichilisticamente ogni cosa, persino i ribelli stessi.

“Mi ribello dunque siamo”. La rivolta, che nasce sempre da un moto etico individuale, diventa una forma di contagio collettivo, una forma di generosità che si batte per tutti.

E poi, dentro ogni rivolta riposa un consenso. Mentre dico che questa cosa non la si può fare, contemporaneamente sto dicendo sì ad un nuovo rapporto, ad esempio, con la natura. Di questo si sono accorti oramai tutti, ma quando l’ambiente diventa centro di ogni discussione c’è il rischio che tutti i partiti e i produttori “rinverdiscano” i loro programmi moltiplicando gli equivoci, come quello a cui si è fatto spesso riferimento di far passare il bruciare i rifiuti per economia circolare green e industrie altamente inquinanti come sorridenti amiche della natura.

Mescolando l’alto con il basso, scrivo questo anche per rispondere a chi critica quei cittadini, donne e uomini, madri e padri, giovani e anziani, che protestano perché non vogliono più essere esposti involontari a delle iniziative produttive che, assieme ai profitti privati, producono rischi pubblici che scaricano sull’ambiente. “Ma come, fino adesso è sempre stato così, sta a vedere che adesso è cambiato tutto!”. È vero, non ci eravamo accorti, non eravamo consapevoli, ma adesso abbiamo scoperto un limite oltre il quale non si può andare. Un punto dal quale bisogna partire per comportamenti diversi.

“Facinoroso” e “agitatore di popolo” è la comica accusa che chi scrive, si è sentito rivolgere, assieme ai suoi amici, da un politico locale, nel momento in cui si è impegnato in una protesta. Uno dei politici del “fare”, che si contrappongono a quelli del “parlare”, associati agli imprenditori, che vedono in ogni protesta, moderata e civile, in ogni critica, argomentata e preoccupata, un disturbo per il manovratore di turno, il più delle volte privo della cultura e della preparazione necessarie a gestire la complessità di oggi. Quasi una forma di lesa maestà. La storia e la cronaca ci hanno aiutato a capire dove portano il paese quei manovratori che vogliono la semplificazione per avere le mani libere e considerano un ostacolo qualunque procedura di controllo e partecipazione. 

Richiamo, in conclusione, un pensiero di un filosofo conservatore, discusso e discutibile, come A. de Benoist, che propone un’idea di ecologia che non è fatta solo di regole e di sanzioni, ma piuttosto di uno stato d’animo. “L’ecologismo, conservatore nella sua ragion d’essere e rivoluzionario nei mezzi che impone di adottare, obbliga, di fronte al transumanismo, per il quale la natura non è niente, a ricollegarsi all’idea di Kosmos, di un insieme armonico e ordinato, in cui l’uomo ha pienamente il suo ruolo per salvare la beltà del mondo e ridare un senso al concetto di ‘paesaggio’. L’uomo non è un ‘utente della natura’. Né la natura è uno scenario di cui ci si dovrebbe prendere cura per renderlo gradevole. È la condizione sistematica del mantenimento della vita”. E infine, conclude il filosofo francese, “bisogna tornare ad un sentimento di amichevole connivenza con il mondo, ritrovando il senso del limite, abbandonando la dismisura tipica dell’arrogante dominio. In un rapporto non di fusione mistica ma di coappartenenza. L’ecologia integrale”. 

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