Risparmio privato e fame di rendimenti sicuri. Possiamo fare da soli

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Il collocamento di un BTP a 50 anni  appena richiesto  dal Ministero dell’Economia  mi sollecita  a tornare sulla questione Debito Pubblico e su come finanziarlo. L’argomento, peraltro già più volte analizzato sul sito di Civiltà Italiana (v. link in basso) oggi si presta ad ulteriori considerazioni, tutte rafforzative di quanto avevo già allora espresso circa la scarsa capacità del Governo Conte a costruire  un quadro prospettico credibile, capace cioè di contemperare i costi legati alla emergenza sanitaria e a quelli economici che di li a poco ne sarebbero derivati, con l’inevitabile aumento del Debito Pubblico.

Finalmente si è capito che per avere disponibilità finanziaria non occorre aspettare l’arrivo dell’ormai mitico Recovery Fund  ma basta rivolgersi al mercato. Cosa dunque è successo ?  Semplice. Il Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha emesso e collocato il 7 aprile scorso, tramite un sindacato di 5 banche,  5 miliardi in BTP a 50 anni con scadenza marzo 2072 al tasso del 2,17%  e 7 miliardi in BTP a 7 anni con scadenza 2028 al tasso dello 0,36% .

La cosa sorprendente (per molti) è che le richieste di acquisto sono state rispettivamente di 64 e 66 miliardi. Sono numeri che parlano da soli e dimostrano come uno Stato come il nostro, se abbandona il complesso di inferiorità e ricorda al mondo che è pur sempre la seconda potenza manifatturiera  europea, può chiedere ai mercati di essere finanziato come e quando vuole valorizzando il grande risparmio privato e la connessa fame di rendimenti sicuri.

Con l’episodio che ho appena raccontato spero di aver messo a disposizione

dei lettori un elemento chiaro e dirimente per comparare le due metodologie

attraverso le quali il Governo finanzia il debito o gli investimenti dello Stato.

A me pare che se fossimo stati più autonomi avremmo potuto avere una imponente disponibilità finanziaria da usare peraltro senza alcuna condizione e senza presentare piani, contropiani e assicurazioni varie agli organismi di controllo europei. Con la seconda metodologia il Paese  si ritrova invece invischiato in un farraginoso e lentissimo piano catalogato con l’anglofono Next Generation UE altrimenti conosciuto come  Recovery Fund. Ricordo che questi aiuti, annunziati nell’aprile 2020 e concordati nel dicembre dello stesso anno , sono ancora fermi in attesa di essere ratificati dai 27 Parlamenti dei paesi Membri, Germania compresa che aspetta,peraltro, anche il via libera della sua Corte Costituzionale. Quando essi finalmente arriveranno, se arriveranno, dovremo fare i conti  con enormi  complessità burocratiche,ostacoli  procedurali e rispettare anche regole ormai vecchie come il famoso “Patto di Stabilità” che nel contesto attuale finiranno per diventare anche recessive. Il costo totale, quindi, sarà inevitabilmente ben superiore a quello  degli interessi che il nostro Paese dovrà corrispondere alla Unione Europea, tanto che quello del 2,17% del BTP a 50 anni senza alcuna condizione potrà sembrare un dono della Befana.

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