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Quando per una suora rischiai l’arresto

Fa discutere la notizia di un noto ginecologo accusato di violenza carnale e sbattuto in prima pagina con tanto di foto. Non penso a lui e non prendo le difese per una vicenda che non conosco. Penso ai suoi figli e alla sua famiglia, visto che la notizia, così come riferita, ha l’impatto di una vera e propria sentenza. Che a conclusione del processo (2,3,5 anni?) può essere confermata in toto o completamente azzerata, con l’assoluzione del presunto colpevole. Del resto, non è una novità: ormai sono innumerevoli i “casi giudiziari” di persone ingiustamente coinvolte in vicende riprovevoli e vergognose. Ricordate l’assoluzione piena di quel padre sotto processo per anni, dopo le accuse infondate di un figlio minore? Da vecchio del mestiere, conosco perfettamente le esigenze della stampa e in particolare dei giornali, che ogni mattina devono vendere copie nelle edicole. So anche che la cronaca nera è la protagonista di tutti i giorni; che le storie di nera piacciono e attirano l’attenzione di tutti. Ho scritto diverse centinaia di articoli e seguito tante vicende scabrose, ma ho sempre seguito l’insegnamento di quel mio vecchio redattore-capo: “Proprio perché raccoglie tanti favori da parte del pubblico, la cronaca nera rappresenta un grave problema di coscienza per il giornalista”. Ho avuto la fortuna di fare il reporter di nera quando c’erano magistrati che rispettavano e facevano rispettare il cosiddetto “segreto istruttorio”. In particolare, fra le tante esperienze vissute, mi torna in mente una clamorosa storia che coinvolse la suora di un ospedale sospettata di aver trafugato la scorta di stupefacenti conservati nella farmacia del suo reparto. Il Pm affidò l’inchiesta riservatissima a un ufficiale dell’Arma che, nel suo rapporto, confermò i sospetti sulla religiosa. Copia di quel documento “riservatissimo” la trovai casualmente aperta sul tavolo di un alto funzionario e, inosservato, ebbi la possibilità di leggerla. Quanto bastò il giorno dopo per sparare a tutta pagina un titolo sulla clamorosa rivelazione, anche se mi guardai bene dal pubblicare il nome della suora sotto accusa. Accadde che fui subito convocato in Procura, dove un Pm incredulo e sorpreso mi sollecitò a rendere nota la fonte cui avevo potuto attingere una notizia delicata e rigorosamente segreta. Rischiai l’arresto immediato per violazione del segreto istruttorio e mi salvai, barricandomi dietro lo scudo del “segreto professionale”. Tutto questo succedeva quando le parole e le leggi venivano ancora rispettate per il significato e il valore che avevano.

Il segreto istruttorio esiste ancora? Oppure, resta solo il ricordo d’una pratica rigorosamente osservata da giornalisti e magistrati di una volta? Qual è in materia la giurisprudenza vigente della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo? Il rapporto tra libertà di informazione e buon andamento della giustizia, con particolare riferimento al processo penale, costituisce una tematica di grande attualità alla luce delle ricorrenti polemiche connesse ai fenomeni degenerativi del cosiddetto “processo mediatico”. Lo abbiamo visto anche per il caso di un noto ginecologo, ristretto agli arresti domiciliari a Montorio al Vomano con l’accusa di una presunta violenza sessuale. Una vicenda che, ancora una volta, ha visto contrapposte le contrastanti fazioni dei “colpevolisti” e dei “garantisti”. Nella consapevolezza della difficoltà di ricostruire una «carta dei corretti rapporti giustizia-media», emerge la necessità di un’opera di bilanciamento, resa ardua per la pluralità dei principi e dei valori coinvolti. In questo senso, la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta fondamentale, anche in una prospettiva di possibili innovazioni legislative. Infatti, una recente direttiva dell’Unione europea (2016/343/UE) attuata a giugno 2018, “recependo” indicazioni provenienti dalla giurisprudenza EDU, ormai attesta un’interpretazione estensiva della presunzione di innocenza, da garanzia destinata ad operare non soltanto sul piano processuale a diritto della personalità, “ovvero diritto a non essere presentato come colpevole prima che la responsabilità sia stata legalmente accertata”. In un regolare processo, ovvio.

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