“COME I SOCIAL HANNO ROVINATO I NOSTRI FIGLI”. Suona così il sottotitolo della versione italiana del libro dello psicologo statunitense J. Haidt, La generazione ansiosa, appena uscita nel nostro paese. Di là dall’oceano ha fatto scalpore la sua pubblicazione coagulando timori e paure diffuse oramai nella società americana e nella più vasta “anglosfera” (Stai Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda) da più di dieci anni.
A partire dal 2010 è cambiato qualcosa nella vita dei giovani causando un crollo della loro salute mentale, con ansia, depressione, aumento degli atti di autolesionismo. Questo qualcosa è stata l’immissione sul mercato dell’iPhone dotato di touch screen che ha fatto sì che la gran parte della vita sociale dei giovani si sia trasferita sugli smartphone con accesso continuo a social media, videogame e altre attività on line. I nostri giovani sono partiti dal mondo reale e sono passati a quello virtuale. Una correlazione simile è possibile farla anche tra l’uso crescente dei media digitali e la diffusione della sfiducia nella politica, dei movimenti populisti, dell’odio e della polarizzazione, ma questa è un’altra storia.
Già dagli anni ’80 del secolo scorso era in atto un passaggio epocale da un’infanzia basata sul gioco a quella basata sugli schermi. E mentre i genitori diventavano sempre più protettivi nei confronti dei pericoli del mondo reale, impedendo sostanzialmente moltissime attività libere che i bambini e i ragazzi svolgevano in strada o in piazza senza il loro controllo diretto , li lasciavano totalmente liberi nella loro vita on line, considerandola a torto molto meno pericolosa.
All’inizio del nuovo millennio vennero immessi sul mercato cellulari che sfruttavano a pieno il collegamento a Internet. Erano portatili, personalizzati e affascinanti. Tutti i nati dopo 1995 vennero investiti in pieno dalle app, dai social, dalla vita sugli schermi. Gli adulti, per non dire i produttori interessati e il mercato collegato, non si sono preoccupati minimamente dei possibili effetti negativi sulla psiche dei giovani. Ignorando che esiste infatti un’abissale differenza tra gli effetti su di un cervello-mente che si struttura biologicamente e psichicamente, e quella su di una mente adulta oramai cablata completamente. Stessa cosa era accaduta anche per la TV, i bambini la guardavano per capire come funzionava il mondo, gli adulti per distrarsi e non pensare.
Haidt parla di una vera e propria riconfigurazione dell’infanzia e dell’adolescenza avvenuta tra 2010 e il 2015 che ha portato bambini e ragazzi a diventare sempre più ansiosi, depressi, fragili. In particolare, quali danni stanno provocando i social sui giovani?
La prima conseguenza negativa è la deprivazione sociale. I bambini hanno bisogno di interazioni faccia faccia, uno ad uno o in gruppo. Dopo l’invenzione dell’iPhone i ragazzi americani sono passati da 120 minuti al giorno trascorsi con gli amici nel 2010 a 67 minuti al giorno nel 2019. I giovani che trascorrono più tempo on line hanno maggiori probabilità di sviluppare ansia, depressione e altri disturbi, mentre quelli che passano più tempo in gruppi sportivi o religiosi o di altra natura hanno una migliore salute mentale. I social interferiscono con il periodo critico dell’apprendimento culturale che va dagli undici e i quindici anni.
L’altra conseguenza è la frammentazione dell’attenzione. Un flusso continuo di interruzioni per sei o otto ore al giorno dovuto alle attività sugli schermi – attività ricreative e giochi, senza considerare poi quelle legate allo studio – fanno sì che per addirittura sedici ore al giorno i ragazzi non sono del tutto presenti, debilitando la capacità di pensare a fondo. Il multitasking non esiste, fare più cose contemporaneamente danneggia l’apprendimento.
Un’altra conseguenza registrata dalle indagini su larga scala è la privazione del sonno. Si sa che il cervello lavora di più quando dormiamo. La maggior parte dei ragazzi dorme meno del necessario. Se il sonno è interrotto o disturbato si hanno maggiori probabilità di diventare depressi, ansiosi, di essere irritabili, di sviluppare deficit cognitivi.
L’altro disturbo correlato all’uso dei social è la dipendenza. Gli sviluppatori delle app sono stati così abili non solo da catturare l’attenzione ma, siccome il nostro cervello ricava piacere dal raggiungere un nuovo obiettivo e rilascia dopamina, ne vuole sempre di più. Quando mangi una patatina viene rilasciata un po’ di dopamina, questa ricompensa fa sì che ne vuoi ancora un’altra e sempre di più. La vita sullo schermo, i video giochi e tutte le altre forme di intrattenimento sono tecnologie della persuasione, perciò innescano forme di dipendenza inducendo le persone a passare sempre più tempo on line. Una notifica innesca il desiderio di rispondere, un like, un evento piacevole, una ricompensa, spinge ad agire per ottenerne un altro, e così via.
Un’ultima osservazione va sottolineata ed è una differenza di genere. I social fanno più male alle ragazze che ai ragazzi. Le ragazze che fanno un uso più massiccio dei social e hanno probabilità tre volte superiore di sviluppare ansia e depressione. Non si tratta in molti casi di una correlazione ma di una vera e propria causa. Ovvero i social sono causa di ansia e depressione. Questo perché se i ragazzi sono più motivati all’azione, le ragazze lo sono di più alla comunione, ovvero al desiderio di connettersi e sviluppare un senso di appartenenza. Le ragazze sono più sensibili al confronto visivo e o più facilmente alle emozioni. Queste attitudini sono sfruttate dai social, promettono la connessione e la comunione sviluppando invece la solitudine.
Un’ultima notazione, delle molte che si possono trovare dentro e fuori del testo di Haidt. Noi “siamo creature corporee: i bambini dovrebbero imparare a governare il proprio corpo nel mondo fisico prima di iniziare a trascorrere enormi quantità di tempo in quello virtuale”.
Esiste quindi ora un problema di porre dei limiti, ovvero il problema del controllo. La Cina, ma per ragioni diverse legate ad una politica di controllo sociale che sorvegli attentamente la società civile mentre lascia libero l’apparato militare-industriale, ha già ridotto a novanta minuti al giorno durante la settimana e tre ore nel weekend il tempo che i minori di diciotto anni possono trascorrere davanti ai videogiochi o su app-social. In occidente si è limitata formalmente l’età di accesso ad un profilo social, ma tale limite era ed è facilmente aggirabile.
Che fare? La risposta della psicologia sociale (come anche del buon senso) è precisa e netta: riportare a casa i ragazzi dal mondo virtuale a quello reale. Quattro semplici ricette: niente smartphone prima delle scuole superiori; niente social media prima dei sedici anni; a scuola senza cellulare; molto più gioco senza supervisione e maggiore indipendenza in un mondo reale fatto di persone e di cose. I genitori dovrebbero parlarne e fare fronte comune ma…”Babbo?! Mamma?!”. Ssss. Nessuna risposta. Stanno guardando il loro cellulare!
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