ANCORA SUL CAMMINO DI FRANCESCO

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 Il Limite /n. 169

 

Nessuno può sperare di conoscere san Francesco senza conoscere e amare i luoghi in cui visse           

 P. Sabatier

 

nacque al mondo un sole, / come fa questo tal volta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole / non dica Ascesi, che direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vole.

Dante

 

Nel 1206 il giovane figlio di Bernardone, ricco mercante di Assisi, dopo un travagliato processo davanti al Vescovo, si spoglia delle sue vesti e rompe con il padre e con la vita precedente e si incammina verso Gubbio. Chi è quel giovane in crisi, che prima voleva farsi cavaliere e partecipare alla crociata? Chi è quel ragazzo inquieto che diventerà uno dei più grandi personaggi di tutti tempi? È Francesco, non ancora san Francesco. In quel freddo inverno del 1206 va verso Gubbio dove abita un suo grande amico, Giacomello Spadalonga, che aveva combattuto con lui nella guerra contro Perugia e con cui aveva condiviso la dura prigionia dopo la sconfitta. La strada che percorse allora tra Assisi e Gubbio è oggi il sentiero di Francesco. Come ogni anno anche quest’anno l’hanno percorsa dal 1 al 3 settembre centinaia di persone, che si sono aggiunte alle migliaia che lo fanno ogni anno.

Sì, perché il cammino di Francesco è uno dei tanti itinerari di pellegrinaggio che rigano da millenni il suolo dell’Europa. Dal più famoso cammino di Santiago alla via Francigena, sono tanti i percorsi medievali che oggi rinascono e rivivono di vita nuova. Il pellegrino è l’homo viator, quello che sa che non ci sono possessi duraturi e che ogni avere, come un fardello, appesantisce il passo. Chi cammina non ha una casa ma ha solo la strada, il cammino. Il pellegrino non è il viandante, perché ha una meta sia terrena che ultraterrena. Il camminare non è correre o il fare footing che trasforma chi li pratica in uno sportivo o in un salutista, e non è neanche la marcia, che trasforma chi la pratica in un soldato.  Chi percorre i cammini si fa, almeno per un momento, pellegrino. Il pellegrino è qualcuno che cerca e mentre cammina medita e si trasforma. Francesco, durante quel tragitto, porta a termine la sua straordinaria conversione, al termine della quale non sarà più lo stesso. È pronto a diventare l’alter Christus, un fraticello che diventa un gigante dello spirito, un segno di contraddizione per l’intera umanità, il santo più famoso e apprezzato anche tra i non cattolici e i non credenti, la più grande figura della storia italiana, “un santo – come scrive F. Cardini – che non cessa di sorprendere”. Un ribelle contro il suo e nostro tempo, segnati entrambi dal culto del denaro e dell’intellettualismo, della ricchezza e dell’intelligenza (oggi anche artificiale).

Camminare è una forma di meditazione e di preghiera. La fatica ci ricorda la nostra umile origine terrestre, appesantita dalla gravità, mentre al contrario la mente e l’anima si liberano dai pesi. Passo dopo passo, guardando dove si mettono i piedi ma poi, girando attorno lo sguardo, si vedono i paesaggi che Francesco aveva visto e amato. Colline e umili siepi, discrete e pure vibranti di bellezza. Come le querce e gli ulivi, o come le fragole nascoste tra i rovi che raccogli per addolcire la bocca. Paesaggi che gli hanno parlato e paesaggi che oggi parlano di lui. “E quando un luogo è permeato dalla presenza di un grande personaggio, vive del suo spirito e ne assorbe il carattere identitario” (A. Brilli). Qualcosa dell’anima, semplice e complessissima, di Francesco emana ancora oggi da questi luoghi, che si possono apprezzare soltanto camminando.