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Elogio della bicicletta Porre un limite alla velocità?

Il Limite / 94                                                                                                      

Elogio della bicicletta

Porre un limite alla velocità?

di Raniero Regni

 La crisi energetica attuale è una riedizione di una crisi strutturale. La prima che ricordi è quella petrolifera del 1972, con le domeniche senza auto, ma poi ce ne sono state tante altre, perché la nostra è una società che per sostenere uno sviluppo illimitato brucia sempre più energia, soprattutto derivata dai combustibili fossili. Ho il sospetto che la crisi energetica non si possa superare con un sovrappiù di energia ma vada affrontata, da una parte con le rinnovabili, dall’altra anche con un ridimensionamento della nostra fame di risorse.

Se è vero che la vita è un viaggio che va fatto a piedi, come sosteneva B. Chatwin, forse non è del tutto socialmente praticabile l’idea di chi sosteneva che il socialismo può essere raggiunto solo in bicicletta. Apparentemente questa affermazione ha il sapore di una condanna al sottosviluppo. In realtà la nostra ossessione per la velocità, che può essere giusta in certi settori, diventa controproducente in tanti altri. Oltre una certa soglia la velocità diventa distruttiva dell’immaginazione, dei rapporti sociali, delle potenzialità personali. Lo sanno coloro che si trovano imbottigliati nel traffico tutte le mattine o il passeggero di un treno perennemente in ritardo. Oltre una certa soglia, la velocità che fa risparmiare tempo, lo fa perdere. Oltre una certa soglia di velocità, i veicoli a motore creano distanze che soltanto loro possono ridurre. La ricchezza e il potere si finiscono per misurare con la velocità: dimmi a che velocità vai e ti dirò chi sei. Se viaggi in bicicletta o coi mezzi pubblici, almeno in molte zone d’Italia, sei povero. Se viaggi con un treno ad alta velocità, oppure in aereo o addirittura in elicottero, sei ricco. Come il veicolo è diventato simbolo della carriera, la velocità diventa il simbolo del successo. Ma più velocità significa più energia consumata e, oltre una certa soglia, significa maggiore diseguaglianza e maggiore distruttività insostenibile.

Sembra che, in ogni parte del mondo, non appena la velocità di certi veicoli ha superato la barriera dei 25 chilometri all’ora, ha cominciato ad aggravarsi la penuria di tempo legata al traffico. Oggi, in molti centri abitati, si pone il problema del limite di 30 orari per ridurre gli incidenti e, d’altra parte, per via del traffico, la velocità delle auto finisce per essere quella di un pedone o, al massimo, di un ciclista.

Tutti questi aspetti ed altri ancora erano presenti in un aureo libretto del geniale pensatore, di cui si sente spesso la mancanza, Ivan Illich, il cui titolo era Elogio della bicicletta (1973). La biciletta è lo strumento meccanico più vicino al nostro corpo.  Come scrive Illich, “il cuscinetto a sfere rese anche possibile la bicicletta, facendo sì che la ruota – forse l’ultima delle grandi invenzioni del Neolitico – fosse finalmente utilizzabile per la mobilità autoalimentata”. La biciletta è il mezzo di trasporto più termodinamicamente efficiente. L’uomo in biciletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell’energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie (a piedi se ne bruciano 0,75). Richiede poco spazio, se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto. Ha ragione Illich, la bicicletta è uno “strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e tempo: l’uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti”. In certe città, per esempio Roma, è evidente che la mobilità automobilistica satura l’ambiente di veicoli e le strade diventano impraticabili: espropria il tempo in nome della velocità. La bici è il simbolo della mobilità conviviale a basso consumo di energia. Chi ama andare in biciletta, chi sente di stare in equilibrio con l’ambiente solo quando cammina, va in bicicletta oppure con una barchetta a vela, come il sottoscritto, condivide questo elogio. Certo la bicicletta appare anche come uno strumento di tortura e per questo aveva ragione Paolo Conte, quando cantava per una vecchia sigla del Giro d’Italia, vado a memoria, “la bicicletta non la si ama, la si lubrifica e la si declama”.  La bicicletta impone uno sforzo che ti ricorda quanto sei povero, piccolo e sottoposto alla gravità     quale povera creatura che calca la terra. Nessun senso di onnipotenza fuori luogo, come quando invece scateni i cavalli della tua auto o della tua moto con la semplice pressione del pedale o della manopola del gas: impotente potenza.

Chi va in bici sa che Illich ha ragione. Pedali e pensi. Pedali e senti. Pedali e ami. Pedali e fai amicizia. È davvero uno strumento “conviviale” e non industriale, anche se fatto in serie. Mentre pedali senti quanto sia pericolosa l’auto che ti passa accanto, che se ti toccasse anche solo con uno specchietto laterale, ti ucciderebbe. E allora pensi a quanto sei stupido, quando a tua volta guidi, e quanto sei irrispettoso dei pedoni e dei ciclisti che sfiori o inzuppi di pioggia e fango.

Quando spingi sui pedali senti di essere vicino a chi fatica, a chi non ce la fa a respirare perché anziano e malato, a chi è debole. Scopri i tuoi limiti e li accetti e ne puoi persino godere. Sì, perché, se anche in mountain-bike non cerchi la velocità, ti godi appieno il paesaggio. Quando rimani indietro rispetto al gruppo, ti fermi, ascolti la natura e taci. E sei felice, perché non bruci e non consumi, se non le poche calorie per il tuo corpo. Sei felice, perché ti senti umile e in armonia con il creato.

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