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“DE’ VISI MOSTRUOSI E CARICATURE. DA LEONARDO DA VINCI A BACON”

 Fondazione Giancarlo Ligabue,  Venezia, Palazzo Loredan, dal 28 gennaio 2023

 

Nel Codice Atlantico e nel Trattato della Pittura Leonardo scrisse “De visi mostruosi non parlo, perché senza fatica si tengono a mente” esaltando quanto la bruttezza sia parte costitutiva del saper disegnare e dipingere la realtà, per quanto brutta possa essere. Per Leonardo la pittura è una scienza nella quale la tecnica pittorica implica una profonda conoscenza sia della teoria che della pratica. I lavori esprimono una fascinazione, da parte dell’Artista per il grottesco inteso non solo come esagerazione nella fattispecie anatomica, quanto piuttosto come “diverso”.


I volti deformi presentano tratti somatici spesso ricorrenti tra i vari artisti, quasi a segnare un percorso storico artistico lineare, che si snoda in una continuità “settentrionale” tra Umanesimo e Serenissima, nell’esplorazione del grottesco e del caricaturale. Pietro C. Marani  curatore della mostra insieme a un comitato scientifico composto da Alessia Alberti, Luca Massimo Barbero, Paola Cordera, Inti Ligabue, Enrico Lucchese, Alice Martin, Alberto Rocca, Calvin Winner, propone come obiettivo della mostra non tanto l’indagare come e perché si sviluppi il singolare genere della caricatura, o meglio della deformazione e trasformazione dei tratti fisiognomici, quanto il rendere evidente l’esistenza di una linea di continuità “settentrionale” in quest’ambito che, partendo dai “visi mostruosi” di Leonardo e dalle “pitture ridicole” dei lombardi, assunte le esperienze del naturalismo carraccesco, troverà la sua piena espressività nella Venezia della prima metà del Settecento. 

L’itinerario  della mostra proietta lo spettatore in un mondo straniante quanto intrigante, collaterale rispetto al bello, al sublime o all’ideale oggetto privilegiato dalla pittura che si snoda fra oltre le sttantacinque opere in mostra provenienti da musei e collezioni private internazionali. (Dal Musée du Louvre di Parigi alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, dalle Gallerie degli Uffizi alla Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, dal Designmuseum Danmark alle Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al Sainsbury Centre for Visual Arts della University of East Anglia di Norwich, per citarne alcuni – con un incredibile nucleo di 17 disegni autografi leonardeschi, tra cui la nota “Testa di Vecchia” in Collezione Ligabue, prestati eccezionalmente dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, dalla Pinacoteca di Brera e – per la prima volta in Italia – dalla Devonshire Collections di Chatsworth). La diversità, nei disegni di Leonardo, si riassume quindi in un’analisi dello scherno, dell’ironia o del sorriso; certamente le sue “teste caricate”, l’esasperazione dei tratti somatici, gli studi fisiognomici dei caratteri umani e dei “moti mentali”, la strenua analisi della deformazione a rimarcare una volontà di realismo, ma pure doti morali o virtù particolari al di là dei difetti fisici o dei segni del tempo hanno sicuramente ispirato le opere di Giovanni Agostino da Lodi o Giovan Paolo Lomazzo, alle riproduzioni nei secoli successivi (tra tutte le stampe seicentesche dell’incisore boemo Wenceslaus Hollar che propone i disegni appartenenti alla collezione del XXI conte di Arundel) e soprattutto alla ripresa leonardesca cui si assiste a Venezia, nei primi decenni del XVIII secolo, presso i maggiori artisti e collezionisti come Anton Maria Zanetti, riconosciuto “capostipite” della caricatura veneziana. La nota su Zanetti che appare nelle pagine manoscritte anteposte all’Album Cini (di cui sono in mostra alcuni importanti fogli)  segna, per il curatore Pietro Marani, il proposito innovativo per l’individuazione di una linea culturale tosco-lombarda, propriamente leonardesca, accanto alla già nota formazione emilianaricordata in mostra dai disegni e le grottesche di Creti, di Carracci (dalla Collezione del Duca di Devonshire anche l’unico disegno di Annibale Carracci proveniente dall’eredità Burlington) e della scuola di Parmigianino,  sino all’inserimento dell’opera capolavoro di Bacon,” Tre studi per un ritratto di Isabel Rawsthorne”, a significare la nuova valenza che l’alterazione assume nel Novecento.

 

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