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LA DEGLOBALIZZAZIONE INFELICE

Economia&Finanza / 77

 

LA DEGLOBALIZZAZIONE INFELICE

di  Mario Travaglini 

Marzo 2020 :  diverse navi da crociera si aggirano senza meta al largo delle coste di alcuni paesi ritenuti  mete paradisiache. Non riescono ad  attraccare perché sono respinte a causa del rischio che alcuni passeggeri affetti da Covid possano contaminare la popolazione locale.

Marzo 2021 : centinaia di navi porta container si ammassano nel mar Rosso e nel Mediterraneo, ai due estremi del canale di Suez, rimasto chiuso per l’incidente occorso alla Ever Green mentre lo attraversava.

Marzo 2022 : molte navi cisterna, piene fino all’inverosimile di petrolio russo vagano negli oceani, senza una destinazione precisa, alla ricerca di clienti a cui vendere il loro carico. I compratori preferiscono merce senza l’odore della guerra.

La dimensione gigantesca di queste navi mercantili e il numero dei container trasportati danno la misura dello straordinario sviluppo degli scambi internazionali e del coinvolgimento pressoché globale di tutti i paesi del mondo. Non sorprende quindi che i tre grandi shock che hanno colpito il processo di globalizzazione in soli due anni -la pandemia, la crisi delle materie prime e la guerra in Ucraina- abbiano creato i naufraghi dei tempi moderni . Ma è solo una serie di contrattempi che punteggiano un movimento inevitabile, oppure è la conclusione di un ciclo di cui non sappiamo ancora come finirà e da cosa sarà seguito? Sul piano economico e commerciale la guerra russo-ucraina rappresenta certamente una svolta. Le sanzioni innescate dall’Occidente hanno finito per mettere al bando del commercio mondiale una potenza che sebbene rappresenti solo l’80% del Pil italiano è capace di dare un contributo notevole alla macchina della sussistenza mondiale fornendo materie prime alimentari oltre a quelle energetiche, forse anche in misura più significativa delle prime. Per la prima volta un grande paese perde i benefici derivanti dall’adesione alla Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), nella quale era stata ammessa solo nel 2012, ben 10 anni dopo la Cina. Senza dubbio tutto ciò rappresenta una rottura del processo di globalizzazione il cui declino, peraltro, a dire il vero, era già iniziato dai fatti del 2008. Coloro che erano favorevoli al libero scambio delle merci non erano solo persone cieche, insensibili alle conseguenze del loro progetto in termini di deindustrializzazione e aumento delle disuguaglianze nelle società occidentali. Erano soprattutto sognatori che ritenevano che gli scambi commerciali erano sufficienti a garantire la pace. Nel 2020 l’Europa si è angosciata non sapendo come fare per fabbricare le mascherine mentre nel 2022  non sa fare a meno del gas russo né di superare la sua impotenza per far pagare a Vladimir Putin il prezzo dei suoi crimini. Delocalizzazione, sovranità, indipendenza: questi sono i  temi che le recenti crisi hanno indicato ai governi come obiettivi della loro politica economica . Si passerà da un eccesso all’altro? Nessuno può dare una risposta categorica,  ma l’immagine del villaggio globale non appare più utopistica di quella di una produzione interamente rilocalizzata all’interno delle frontiere nazionali, allattata dagli aiuti di stato e protetta da barriere doganali. L’Italia, facendo affidamento sulla sua industria di trasformazione e sulla eccellenza nel campo alimentare, non vede l’ora di prendersi una rivincita nei confronti della Germania, specie alla luce della recente azione di forza messa in campo nell’acquisizione del gas, tuttavia dubito che il sovranismo puro e perfetto possa guadagnare campo in Europa, e in Italia in particolare, soprattutto perché non è un continente ricco di materie prime. La globalizzazione è stata certamente eccessiva, talvolta brutale, spesso improvvisata ma terribilmente efficace, ed oggi il mondo intero ha proprio bisogno di efficienza, produttività e redditività. Infatti saremo costretti a gestire su scala planetaria e per diversi anni ben tre questioni, tutte cruciali :  quella inerente le risorse energetiche, quella delle materie prime e quella dei metalli. In questi tre settori gli investimenti erano largamente insufficienti a coprire i bisogni già prima dell’inizio della guerra, ora, con un conflitto che continua ad imperversare con le sue distruzioni o con le sanzioni e con una inflazione super aggressiva, la deglobalizzazione stimolata dalla nuova cortina di ferro installatasi alle frontiere russe, sarà difficile realizzarla in tutto l’Occidente e potrà essere addirittura letale per i paesi emergenti. La parola d’ordine dovrà essere fluidità. Fluidità negli scambi, fluidità nei movimenti dei capitali, fluidità nell’innovazione piuttosto che creare nuove barriere. Pensare a migliorare l’interdipendenza sarà più utile che pensare all’indipendenza.

 

 

 

 

 

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