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SCUOLA:GUARDARE NELLO SPECCHIETTO RETROVISORE O GUARDARE AVANTI?

Il limite /62

Scuola: guardare nello specchietto retrovisore o guardare avanti?

di Raniero Regni

 

“E un altro giorno è andato, la sua musica è finita, quante cose son passate e passeranno”, cantava una vecchia canzone. Un altro anno scolastico è terminato, la scuola ha un anno di più come i suoi studenti e suoi insegnanti, ma sembra sempre la stessa. E quello che per le persone appare come un complimento, “non ti passa un anno, sei sempre lo stesso!”, per la scuola è sintomo di una crisi irreversibile.

Il termine dell’anno scolastico coincide con la decisione del Parlamento europeo di mettere al bando per il 2035 le auto diesel e a benzina. Che cosa hanno in comune questi due fatti? Niente. Appunto, e questo è il problema. Mentre si annunciano cambiamenti epocali per la mobilità che ha caratterizzato più di un secolo di vita di gran parte dell’umanità, per la scuola non si annuncia niente. Il prossimo anno sarà come questo che si è appena concluso.

Nell’articolo della scorsa settimana si è cercato, sulla scorta delle tesi di K. Robinson, di sostenere che i sistemi educativi sono nati contemporaneamente alla produzione di massa resa possibile dalla catena di montaggio. Il famoso modello T, la prima utilitaria creata da H. Ford attraverso quel processo produttivo in serie a cui poi è stato dato il nome. E abbiamo parlato del fordismo scolastico, l’industrialismo che ha ispirato il suo omologo, lo scolasticismo. La scuola aveva assorbito quel modello che le è rimasto appiccicato. Una strategia organizzativa e una identità culturale che deprime i talenti e livella le diversità. È l’idea che l’istruzione sia essenzialmente una preparazione a qualcosa che succederà dopo e questo su su fino all’università. Lo scopo della produzione industriale è realizzare versioni identiche degli stessi prodotti. Mentre, al contrario, osserva in aun altro libro sempre K. Robinson, “gli scopi dell’istruzione sono mettere gli studenti nelle condizioni di comprendere il mondo che li circonda e i talenti che hanno dentro di sé così che possano diventare persone realizzate e cittadini attivi e compassionevoli”.

L’educazione ha sempre dovuto far fronte a due obiettivi che sono antinomici, trasmettere il passato e preparare il futuro. Oggi, per assolvere al secondo scopo, le istituzioni educative sono sottoposte ad una serie incessante di riforme e di cambiamenti che però lavorano sempre all’interno dello stesso paradigma. Un esempio eclatante è quello dell’incessante inseguimento e raffinamento degli standard. Dall’inizio del XXI secolo alzare gli standard dell’istruzione è diventato l’obiettivo principale e si sono creati degli strumenti per misurare e comparare le performance degli studenti e delle scuole, come l’indagine PISA e come i test INVALSI. Sembra apparentemente aumentata la competizione tra studenti, insegnanti e scuole. Ma tutti i sistemi educativi sono delusi dei risultati raggiunti.

La specificazione di competenze è divenuta sempre più stringente, test e verifiche sempre più ossessive. Ma, come osserva sempre K. Robinson, “una delle conseguenze di una visione troppo ristretta dell’abilità è una visione specularmente troppo ampia di disabilità”. Che è quello che sta accadendo alla scuola e a chi la frequenta.

Il problema non è produrre di più all’interno dello stesso modello, ma passare da un modello industriale a un modello nuovo. Gli standard sono stati concepiti per altri tempi e altri scopi. E “non riusciremo a tenere la rotta nell’ambiente complesso del futuro, sbirciando incessantemente in un specchietto retrovisore”. Si scambia il guardare avanti con il rimanere prigionieri dell’immagine fornita dallo specchietto retrovisore. Si fa più dello stesso ignorando che spesso le scuole fanno delle cose semplicemente perché le hanno sempre fatte. Senza cioè cambiare modello. Non basta riformare i sistemi educativi occorre trasformarli. Il futuro, che sarà e dovrà essere molto diverso dal presente, non si può prevedere, ma si può e si deve costruire.

Ma troniamo al paragone con cui siamo partiti, facendo una piccola previsione su di un grande cambiamento. L’industria dell’auto non cambierà spontaneamente, sarà costretta a cambiare da parte dei decisori politici. Ci proverà, ma cercherà in tutti i modi di procrastinare le scadenze della decabornizzazione e della neutralità climatica. Ma sarà costretta a cambiare, non solo passando dal motore termico a quello elettrico o a idrogeno, ma modificando probabilmente la stessa idea di mobilità, sarà costretta a cambiamenti epocali a cui non è affatto preparata. I giganteschi interessi economici legati alle fonti fossili di energia opporranno una strenua resistenza al cambiamento, preferendo probabilmente l’autodistruzione alla perdita di potere. Ma in ogni caso adesso la progettazione sta già pensando a scenari molto diversi. Rimarranno catene di montaggio robotizzate ma produrranno auto molto diverse da quelle che conosciamo. I sistemi educativi, la scuola non lo stanno affatto facendo. Migliaia di insegnanti sono ora impegnati negli scrutini di fine anno mentre un’immensa onda di sfide e problemi sta già sollevando l’intero mondo umano. Per non subire il cambiamento, l’unico modo è provare ad anticiparlo, guardando veramente avanti. Non è solo una minaccia, potrebbe essere un compito collettivo ed individuale esaltante che fa appello a tutte le capacità creative degli esseri umani. Per affrontare il cambiamento epocale che ci aspetta ci vorrà molta immaginazione. Non a caso l’ultimo testo di K. Robinson, quasi un testamento, si intitola Immagina che…Come creare un futuro migliore per tutti. E sarebbe esattamente quello che dovremmo fare ad ogni livello: immaginare come potrebbe essere il futuro e lavorare tutti per realizzarlo, perché il futuro è già qui.

 

 

 

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