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ANDIAMO AL FRONTE SENZA SCARPE 

BUONA DOMENICA DI PASQUA E BUONA SETTIMANA AI LETTORI DI “CENTRALMENTE” LA RIVISTA DELLA DOMENICA

a nome di tutti gli autori

                                                                   Il Direttore Pierluigi Palmieri 

 Economia &Finanza / 54 

    ANDIAMO AL FRONTE SENZA SCARPE 

di Mario Travaglini

Non possiamo ignorare che parallelamente al conflitto in Ucraina, è in corso una guerra economica altrettanto drammatica che man mano che passano i giorni assume connotazioni sempre più preoccupanti e verosimilmente non previste dai politici che guidano il mondo. In questo contesto, tra riserve auree russe e sanzioni occidentali, i ruoli del dollaro e dell’euro sono particolarmente messi in discussione. Oggi mi soffermo sulla stretta questione economica rinviando alla prossima settimana l’analisi politica sulla quale, ritengo, c’è molto da dire e da riflettere, se non altro perché proprio da essa dipendono le scelte macro e micro economiche dei governi occidentali, compreso il nostro. La domanda mi sembra pertinente :  cosa determina il  sostegno sistematico alla guerra ? La storia ci dice che quasi sempre le motivazioni di fondo riguardano le questioni energetiche e della difesa dell’egemonia del dollaro: è raro che altre motivazioni, qualificate come “nobili”, portino a conflitti armati.

La maggior parte delle iniziative “liberatorie” lanciate in nome della democrazia  hanno sempre avuto un forte odore di petrolio e di risorse naturali strategiche.  E se lo sforzo per “democratizzare” le dittature e l’emancipazione dei popoli fallisce come in Iraq, Siria o Libia, questo avrà almeno fatto la fortuna della lobby militare-industriale e rafforzato il dollaro che può continuare a finanziare a credito le guerre del colosso americano. Ora tutto questo la Russia non l’accetta più; la prova la troviamo nei fatti seguenti :  dal 2014, all’epoca in cui fu sollevata la questione del Donbass e della Crimea,  ha progressivamente liquidato tutte le sue posizioni aperte sui  buoni del Tesoro americani per sostituirli con euro, yuan e un po’ di yen, ma soprattutto tanto oro. Ufficialmente da 2.300 a 2.500 tonnellate, ma probabilmente più di 3.000, contro le 150 dell’inizio del 2000. Non ci sono più T-Bond nei caveau della banca centrale russa ed è, stranamente, nella storia,  il primo Stato con una sua propria moneta a  subire un congelamento di attività da parte di altri  30 paesi, inclusa la Svizzera, che sta emergendo dalla sua secolare neutralità per unirsi alle sanzioni dell’UE e della NATO.  Se possiamo capire e giustificare il Giappone, da lungo tempo grande acquirente del debito americano espresso in dollari per via della protezione nucleare che gli Stati Uniti gli assicurano dalla fine del seconda guerra mondiale, difficile è comprendere e spiegare il comportamento della Europa, fattasi trascinare in operazioni paramilitari che le hanno quantomeno precluso di agire sul terreno della mediazione. Infatti, dall’inizio di marzo l’Euro si  è  notevolmente indebolito perché la banca centrale russa, fino ad allora grande acquirente della moneta europea, ha smesso di acquistarla. Voglio far notare che  la debolezza del l’Euro non è un fatto secondario da prendere alla leggera, perché molte transazioni sulle materie prime essendo negoziate in dollari contribuiscono, anche se in modo parziale, al notevole aumento dei loro prezzi. E, a proposito di materie prime, se possiamo anche fare a meno del petrolio russo ( il 12,5% della produzione mondiale ma il 25% delle importazioni europee) perché compensabile con quello iraniano qualora vengano sospese le sanzioni, difficilmente sarà possibile surrogare il  palladio (il 45,6% della produzione mondiale), il platino (15,1%), l’oro (9,2%) o nichel di alta qualità (7%, terzo player mondiale), il  titanio ( quota di mercato del 30%) e, per finire, il gas che con il suo 38% del totale importato costituisce il nostro handicap maggiore, stante la difficoltà a compensarlo a breve termine con quello di altri paesi. Ma una delle merci più strategiche non è un metallo: è il grano russo (di buona qualità e molto competitivo in termini di prezzo) che rappresenta, per molti paesi in via di sviluppo, una questione di vita o di morte . La Russia rappresenta il 5% delle nostre importazioni, ma il 50% di ciò che viene importato da Egitto e Libano. È anche uno dei principali fornitori dell’Algeria, così come di molti paesi africani. A questo punto si impone una domanda : ci saranno conseguenze sulla crescita dei paesi europei e sul nostro in particolare? Certamente che si. Vediamo. Sulla ipotesi di un prezzo medio  del petrolio di 130 $ e di un prezzo del gas stabile intorno 140  $ a MWh , la Banca d’Italia ed alcune banche d’affari hanno stimato una riduzione del PIL tra l’1% ed il 2% e una inflazione reale intorno al 9%, senza contare l’impatto di eventuali altre sanzioni che verosimilmente saranno introdotte nei prossimi giorni e delle contromisure russe che includono tra tutte le altre anche  il divieto di onorare gli impegni nei confronti dei loro creditori esteri. Quest’ultima misura, se confermata, potrebbe comportare un default sul debito estero russo di  478 miliardi di $  (Fitch, Moody’s e Standard § Poor’s hanno già declassato il debito russo a livello CCC ovvero  di “spazzatura”) il che vuol dire che le imprese italiane potrebbero essere esposte ad un rischio insolvenza con ricadute inevitabili sul conto economico, sulla occupazione interna e sui valori borsistici delle aziende quotate (Snam, Eni, Intesa, Unicredit, Pirelli, Prysmian, Marcegaglia, per fare pochi ma significativi esempi). A tutto questo va aggiunto anche un certo numero di risparmiatori ed istituti di credito che hanno visto evaporare i loro risparmi investiti nelle più grandi società russe quotate a Londra che in qualche giorno hanno perso oltre il novanta per cento del loro valore (Gazprom 94%, Rosneft 92,4%, Lukoil  e Novatek 99,7%, Sberbank 99,8%). L’Italia sarà costretta a contare molti fallimenti e soffrirà molto di più rispetto agli altri paesi occidentali a causa della cronicità delle sue deficienze: debito alto, mancanza di una politica energetica, scarsa lungimiranza e carenza di una visione prospettica, emergenze continue in ogni settore, burocrazia che impedisce l’assunzione di rapide decisioni etc. etc.
Non mi sembra che sia stata una buona idea quella di mettere in piedi il piano di boicottaggio del gas, del petrolio e di tutte le altre materie prime  perché equivale a preparare il terreno ad una iperinflazione e all’annientamento quasi istantaneo della nostra stessa crescita, anticamera di una inevitabile e lunga recessione.

Forse l’Europa ha un piano molto sottile per annientare economicamente la Russia senza annientare anche noi stessi, mentre nello stesso tempo flirta con Biden per avere il suo GNL che costerà il doppio del prezzo di quello russo.

Per me diventa davvero troppo sottile… a meno che l’obiettivo non sia proprio quello di far precipitare l’Europa in una terza crisi: dopo quella sanitaria e quella militare, verrebbe la crisi monetaria, derivante dalle due precedenti, che finirebbe per portare  una volta per tutte all’azzeramento di tutti i contatori, debiti compresi.

 

 

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