HomeLa RivistaCultura&ArteMimmo Paladino DA CASAMADRE A NAPOLI

Mimmo Paladino DA CASAMADRE A NAPOLI

Una visita al Vittoriale degli italiani, qualche anno fa, a Gardone Riviera in mezzo ai cimeli del Vate pomposamente esibiti, per lo stupore dei visitatori, in quelle stanze costruite a misura dell’Uomo. Il tutto impregnato da quel nauseante odore di… cipria, caratteristico delle case vecchie e inabitate. La cantilena monocorde della guida   provocava una sorta di sonnolento soffocamento e… finalmente l’uscita! E all’uscita l’immediato stupore: alla fine del porticato, in un ottica prospettica data da uno dei porticati, si stagliava un gigantesco cavallo blu notte… appena liberato dalla spiaggia di Troia svettava spavaldo, sullo  sfondo del Garda, gigantesco e maestoso perfettamente inserito nello spazio arboreo che lo ospitava. Tutto il resto, mausoleo, nave, scritti e cimeli vateschi sono passati in secondo piano. Ero stato assalito dalla curiosità di vedere da vicino l’opera,  avvicinarmi e sentire il sordo mormorio di quell’intreccio di saperi e mistero che echeggiavano nell’aria. La medesima forte sensazione provata per

l’ installazione napoletana del 94, in piazza del Plebiscito, dove cavalli enormi venivano inghiottiti da una montagna di sale e per la sua personale al museo di Bellas Artes di Bilbao dove si raccontava la sua opera grafica attraverso le calcografie di grande formato, stampate da quell’artista della stampa, Roberto Gatti di Modena.

Ora, una testimonianza concreta della sua proficua attività artistica, è visibile nella mostra personale allestita dalla galleria d’arte contemporanea, Casamadre di Napoli, all’interno di Palazzo Partanna, nella centralissima Piazza Dei Martiri.

 

Tutto il percorso artistico di Mimmo Paladino fa riferimento alla cultura, alla luce, all’ambiente mediterraneo, sempre fonte di ispirazione per la realizzazione di opere che ne raccontano in maniera personalissima la storia. Il suo approccio alla storia dell’arte del passato, assolutamente personale, si differenzia notevolmente da quello di altri artisti. La rielaborazione del tema del mito non si limita alla citazione ma ne riporta in superficie tutta la cultura arcaica in una contaminazione continua fra l’affresco, la miniatura, il chiaroscuro seicentesco, il manierismo con Pop Art, Espressionismo,Informale, in una figurazione essenziale o in alcune sue parti:

   

Dal disegno alla pittura, dalla scultura alla scenografia, nell’artista campano c’è sempre qualcosa di nuovo. Arte come creazione di una cosmogonia, dove storie e leggende continuano a circolare, attraverso le immagini iconiche ed essenziali, come ombre o fantasmi che si muovono in uno spazio infinito. E’ una sua visione della realtà che pone una riflessione sulla necessità di un mondo migliore, genere umano permettendo…Memoria e citazione non sono tuttavia attività libere e giocose, ma pratiche quotidiane di lavoro e di confronto con la materia dell’arte, che non è solo colore, pietra, legno, bronzo. Fondamentale in paladino resta la formazione concettuale e analitica che è divenuta nel tempo dato inalienabile del lavoro pittorico, permettendogli di spaziare fra le istanze della tradizione e quelle dell’avanguardia, di rielaborare la cultura figurativa del novecento, in particolare, di attingere da culture arcaiche, sapendo scegliere chi e che cosa guardare: gli affreschi e le miniature medievali, le alchimie del manierismo, i chiaroscuri del seicento. I soggetti della sua pittura non sono infatti mai semplicemente figurativi, perché quanto si dà come pittoricamente visibile è il risultato di un linguaggio formale assai consapevole che incamera e restituisce il fantasma o i fantasmi attraverso tutto quanto in astratto e in concreto può diventare o essere pittura e figura. Spesso l’immagine scaturisce dalla proliferazione o stratificazione di segni e materie. La superficie viene coperta con strati successivi di colore o gesso, si creano grovigli e frammenti di segni e simboli che a volte dichiarano un significato, a volte alludono, a volte nascondono.

Gli anni compresi tra il 1978 e il 1980 rappresentati da dipinti monocromatici dalle tinte decise, sui quali campeggiano strutture geometriche , costituiscono un periodo di transizione verso una rinnovata attenzione per la pittura figurativa, il recupero di moduli linguistici tradizionali, la soggettività dell’atto creativo e l’ispirazione alla storia antica e recente. Per questa scelta di campo Achille Bonito Oliva lo invita ad esporre, insieme a Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Sandro Chia e Nicola de Maria, nella sezione aperto 80, della XXXIX biennale di venezia del 1980, che segna l’atto di nascita del movimento della Transavanguardia, volto ad affermare un ritorno dell’arte alla pittura dopo le correnti concettuali, minimaliste e performative del decennio precedente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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