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ECONOMIA IN TEMPO DI GUERRA (seconda parte)

Economia&Finanza  / 50     

ECONOMIA IN TEMPO DI GUERRA

(seconda parte)

di Mario Travaglini

 

La guerra va avanti. Purtroppo. Gli orrori ed i lutti si moltiplicano a dismisura senza che  le quattro parti in causa, perché di quattro parti si tratta, riescano a trovare il bandolo di questa matassa che, al contrario, si complica sempre di più. Alla Russia, all’Ucraina, all’Europa ed all’America, nessuna delle quali ha tutte le ragioni né tutti i torti, sarebbe il caso, forse,  di aggiungere anche la Cina che, per il momento, rimane  nell’ombra in attesa degli sviluppi per prendere posizione e piazzare i suoi micidiali colpi, sia in termini militari (Taiwan) che economici (Occidente).

I negoziati e le intermediazioni sembrano entrati in una prolungata fase di stallo e, al momento in cui scrivo, tranne una timidissima apertura ucraina sulla neutralità, non si intravvedono segnali concreti per trovare una soluzione a breve  A mio modesto avviso stiamo assistendo ad una partita di scacchi giocata sulla pelle dei poveri ucraini al termine della quale si determinerà uno stravolgimento del quadro geopolitico mondiale. Ci dobbiamo pur chiedere : quale è  dunque la causa di tutto questo? Le minoranze russe che vivono in Ucraina? Le questioni legate al Donbass? Le questioni legate all’invasione della Crimea ridiventata russa dopo il 2014? Ma va là. Fuffa. Tutta fuffa. La vera ed unica questione riguarda il controllo delle fonti energetiche e, in misura minore, le risorse disponibili sotto forma di materie prime necessarie ai processi industriali. A tal proposito, a puro titolo indicativo, segnalo che materiali necessari alla produzione di semiconduttori come il palladio ed il neon provengono dalla Russia e dalla Ucraina e che oltre il 90% di neon importato dagli Stati Uniti proviene dalla sola Ucraina. Il postulato  che ne consegue è che il mondo sarà dominato da chi sarà in grado di disporre di tutte le fonti energetiche a basso costo, perché solo queste consentiranno di alimentare in modo virtuoso i cicli di produzione e, quindi, le economie di quei paesi che le detengono. Di converso, le altre economie, per forza di cose, non essendo più nella  condizione di reggere la concorrenza, verranno espulse dal mercato per la nota legge della domanda e dell’offerta. Per il momento limitiamoci a valutare le ricadute sull’Occidente e sull’Italia in particolare partendo da una amara battuta riferitami da un amico al telefono : “Pensavo avessimo fatto le sanzioni alla Russia fino a quando non sono andato dal benzinaio”. Certamente un modo simpatico per riferire come la maggior parte dei cittadini occidentali non avesse assolutamente compreso l’effetto boomerang che poi si sarebbe manifestato sulle economie degli stati. Se prima dell’avvio del conflitto in Ucraina l’Occidente stava tentando di trovare soluzioni ad una inflazione classica ormai conclamata per eccesso di domanda, improvvisamente e senza alcun paracadute si è ritrovato a fare i conti con un altro tipo di inflazione, forse ancora più grave,  quello per scarsità di offerta. Di colpo sui mercati delle materie prime, già in ginocchio per le note carenze di componenti tecnologici, sono venute meno ingenti quantità di petrolio, di gas, di orzo, di grano, di mais, di semi di girasole e di olio, di fertilizzanti, di fitosanitari, di  tal ché tutte le filiere collegate a questi prodotti sono entrate in crisi, costrette a ridurre la produzione ed ad aumentare i prezzi dei prodotti finiti .

I paesi che soffrono meno sono quelli che hanno più autonomia dal punto di vista energetico,  come gli Stati Uniti che  possono disporre di petrolio, gas e nucleare, o come la Francia che, con le sue 56 centrali nucleari è in una condizione di relativa autonomia.

L’Italia invece è nuda. Non solo per il petrolio, il gas ed in nucleare ma anche perché manca di molte materie prime che scioccamente e senza alcuna visione di politica agricola ha allegramente demandato a paesi terzi di produrre. Ecco perché nel nostro Paese le filiere, soprattutto alimentari, evidenziano  una situazione di gravissima sofferenza al punto che le imprese coinvolte rischiano molto presto di dover cessare l’attività. Inevitabilmente i prezzi al consumo salgono, e con essi l’inflazione.

Nel caso in cui il quadro dovesse ulteriormente peggiorare piomberemo in una situazione davvero incresciosa di economia di guerra, ovvero in uno stato in cui l’approvvigionamento della popolazione, del sistema produttivo e dell’esercito sarà garantito da un apparato burocratico-amministrativo di allocazione e distribuzione delle risorse.

Sarà inevitabile sospendere o comunque ridurre in modo significativo l’economia di mercato per sostituirla con una economia pianificata dalla Stato  in cui a livello centrale si decide come, dove, quanto produrre e quanto consumare. In conferenza stampa il Primo Ministro Draghi ci ha fatto capire di essere pronti; certo, non l’ha detto in modo chiaro ma, almeno per chi avesse le antenne alzate, è stato possibile leggerlo nelle sue perifrasi.

L’amara conclusione a cui dobbiamo giungere è che l’attuale scenario di guerra  avrà  un nocivo effetto stagflattivo sul contesto macroeconomico, ossia  la combinazione di crescita e inflazione è destinata a deteriorarsi a causa della minore crescita e della maggiore inflazione. L’incertezza ed i rincari rallenteranno il PIL di tutta l’area Euro, ma l’Italia soffrirà più di tutti gli altri paesi perché, per la nostra economia, questo conflitto potrà rivelarsi ancora peggiore della pandemia in quanto aumenterà il rischio di tensioni sociali ed imporrà una revisione di alcuni progetti contenuti nel PNRR che  verosimilmente per mancanza di fondi non potranno più essere attuati.

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