Letteratura/
(La Rivista della Domenica n. 167)
Fadwa Tuqan (Nablus, 1º marzo 1917 – 12 dicembre 2003) è stata una delle voci più eminenti della poesia palestinese, riconosciuta per la sua straordinaria capacità di catturare le sofferenze e le speranze del suo popolo. La sua opera abbraccia temi come la lotta palestinese, l’Intifada, la sofferenza causata dalla guerra e la condizione femminile nel mondo arabo. La sua poesia riflette il dolore e la resistenza del popolo palestinesenell’evidenziare, al contempo, la sua lotta personale contro le restrizioni imposte alla donna nella società araba. I suoi versi sono caratterizzati da una profonda empatia e da un impegno civile che la rendono una figura di riferimento non solo per la letteratura palestinese ma anche per quella mondiale.
Durante la sua carriera, Tuqan viaggiò molto in Europa e Medio Oriente e, tra il 1962 e il 1964 ,studiò lingua e letteratura inglese presso la Oxford University. Questi viaggi e studi arricchirono il suo bagaglio culturale ed influenzarono profondamente la sua scrittura. Tuttavia, fu l’occupazione israeliana di Nablus nel 1967 a segnare un punto di svolta nella sua poesia, conferendo ai suoi versi un tono ancora più intenso e militante.
Fadwa Tuqan fa parte di quella schiera di intellettuali, nati in un Medio Oriente sotto il dominio dell’Impero ottomano, che aspiravano ardentemente all’indipendenza degli stati arabi: tuttavia, la storia prese una piega diversa. Sicuramente l’evento cruciale fu la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 ed il conseguente esodo palestinese, conosciuto come nakba (“la catastrofe”). Questo trauma collettivo ha dato vita a una vasta produzione di letteratura della resistenza (àdab al-muqàwama) e dell’esilio. Gli scrittori arabi, spinti da questi eventi, optarono per una letteratura ed una poesia politicamente e socialmente impegnate, che riflettesse le tensioni e le speranze della loro epoca. In questo contesto divenne essenziale anche la nascita della rivista Shi’r (“Poesia”), fondata dai poeti Adonis e Yusuf al-Khal, attiva per dieci anni, che raccolse giovani poeti desiderosi di trasformare formalmente la poesia araba nel, tutti trovare nuove fonti d’ispirazione tutti accomunati dalla volontà di riflettere tanto il dramma collettivo arabo quanto la condizione individuale. Oggi, la poesia araba è estremamente vitale. I poeti arabi, sia che parlino dalle loro terre d’origine, sia che scrivano dai paesi d’esilio o di elezione (come Francia, Stati Uniti, Canada, Italia), mostrano una voce fortemente evocativa. Essi scelgono di non restare ai margini della storia, nell’affrontareitemi quali le condizioni socio-politiche, i diritti delle donne, gli eventi della storia recente e le loro ripercussioni sulla comunità e l’individuo. Pur non rinnegando temi comuni alla letteratura occidentale, come l’alienazione e l’angoscia esistenziale, pongono al centro della loro poesia le questioni storiche e sociali. I temi dell’esilio e della migrazione sono ricorrenti nella poesia araba contemporanea proprio a causa del fatto che circa 7 milioni di arabi vivano fuori dai loro paesi d’origine. I conflitti del secolo scorso, dalla guerra arabo-israeliana del 1948 alla guerra civile libanese del 1970 fino al conflitto siriano e palestinese ancora incorso ancora in corso, hanno generato deportazioni e migrazioni forzate. La poesia araba è lo specchio di un tema esistenziale, prima ancora che letterario, trattato con nostalgia, rabbia, rivolta, sarcasmo e ironia.
Fadwa Tuqan ricevette numerosi riconoscimenti per il suo contributo alla cultura e all’arte. Tra questi, nel 1990, il Palestinians’ Jerusalem Award for Culture and Art, oltre a vari premi in Grecia, Italia e Giordania. che testimoniano l’impatto e l’importanza della sua opera a livello internazionale.
Una delle opere significative è “Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee”, curata da Valentina Colombo e pubblicata da Mondadori nel 2007. In questa antologia, le poesie di Tuqan si distinguono per la loro forza espressiva e per la capacità di evocare con straordinaria precisione le emozioni legate alla sua esperienza personale e collettiva. La sua capacità di intrecciare i temi della lotta, della sofferenza e della condizione femminile con una sensibilità acuta e un impegno inesorabile l’ha resa una voce potente e rispettata. Le sue opere continuano a ispirare e a offrire uno sguardo profondo sulle sfide e le aspirazioni del popolo palestinese, rendendola una figura centrale nella letteratura contemporanea.
Muore a Nablus nel 2003. In molti testi la poetessa esprime un desiderio nostalgico, quasi struggente per la propria terra, tanto da desiderare dopo la morte di fondersi con lei in una totale ed eterna armonia, come nella poesia Mi basta morire tra le sue braccia:
Mi basta morire tra le sue braccia,
là essere sepolta,
disciogliermi nel suo limo e svanire,
rinascere come filo d’erba sopra il suo suolo,
rinascere come fiore
accarezzato dalla mano di un bambino nato nel mio paese.
Mi basta dimorare per sempre nel grembo del mio paese
come terra, erba o fiore.
(trad. Paolo Senna)