. Non credo sia possibile accostarlo ai politici e agli statisti del passato e del presente.
Marco Pannella era se stesso con la sua coerenza, originalità, testardaggine tutta abruzzese e se ne vantava.
Ultimo grande liberale ancora sulla scena, giovanissimo aveva frequentato a Napoli la casa e la scuola di Benedetto Croce, amico dell’omonimo congiunto don Giacinto Pannella.
Il leader radicale non era solo “aborto e divorzio”, come molti semplificano, ricordando le sue battaglie civili che, con tutti noi, hanno fatto crescere l’Italia.
Un Paese decisamente peggiore senza chi si è speso, con coraggio e determinazione, contro tutte le ingiustizie in difesa dei più deboli e di chi non ha voce. Partecipazione, cambiamento, innovazione, democrazia, non violenza: parole che non avrebbero senso e significato nella politica nazionale e nella vita civile, senza il protagonista visionario di tante iniziative coinvolgenti. Per affermare i diritti negati e le libertà conculcate, come ha fatto fino all’ultimo anche per umanizzare il carcere e la pena per i detenuti.
Non è riuscito tuttavia a vincere alcune battaglie importanti, che restano sempre aperte, come quella per una “giustizia giusta”, avviata con il “caso Tortora” e adesso, con l’assenza del carismatico leader radicale, tutto sarà più difficile.
“Un grande uomo” -ha telefonato a radio radicale un ammiratore in lacrime- “che ha dato tanto, ricevendo poco. Che ha trasformato milioni di italiani in liberali e credenti a loro insaputa”.
Marco, da gentiluomo qual era, accettava tutto. Anche davanti ai potenti che lo andavano a trovare per l’ultimo saluto ha affermato la sua teramanità, parlando in dialetto e bevendo il caffè, fra una sigaretta e l’altra, con una tazzina di ceramica castellana cara a sua madre.