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A TAVOLA ARRIVANO I GRILLI TANTO LA CUCINA ITALIANA NON ESISTE”

Attualità & Amarcord 156

di Marcello Martelli

Attualità / 156

 

 

Mutignano di Pineto, uno dei borghi più belli e dimenticati del territorio teramano, ha ospitato la Confraternita enogastronomica delle Terre d’Abruzzo, con a capo il Gran Priore Marcello Martelli. La conviviale si è tenuta presso il ristorante “Bacucco d’Oro”, che ha preparato per gli ospiti intervenuti da varie parti d’Abruzzo piatti eccellenti della migliore tradizione teramana. L’incontro introdotto da un interessante dibattito sullo stato della gastronomia oggi, dopo le mode e le novità registrate negli ultimi tempi. Sottolineato il lavoro svolto nei decenni dalla benemerita Confraternita per difendere, celebrare e diffondere la cucina tradizionale, il “nostro” Martelli ha fatto cenno alla “rivoluzionaria svolta” nei menu di cavallette, coleotteri, formiche e farina di grilli.  Riportiamo qui di seguito lo stralcio del suo intervento

PLP

Lee provocazioni a tavola non finiscono mai.

Di recente è stato  pubblicato un libro che, fin dal titolo, denuncia che la nostra cucina non esiste. Pizza, carbonara, pasta al pomodoro, caffè sospeso e dieta mediterranea sono tutte invenzioni: il mito della cucina italiana non c’è. Azzerato.

E a buttare acqua ghiacciata sui nostri incontenibili gusti e appetiti culinari, non è l’ultimo chef in vena di fare scalpore sulle passerelle mediatiche, ma a rilanciare fortemente la discussione è un serio professorone dell’Università di Parma, Alberto Grandi, autore del libro “La cucina italiana non esiste” (Mondadori ed.). Una filippica che attacca a tutto campo la tradizione della nostra tavola, “che esiste solo da poco più di cinquant’anni – così sentenzia l’autore- grazie all’industrializzazione alimentare di massa, al benessere individuale raggiunto, all’abile marketing di una presunta tradizione e ai continui aiuti economici (e culinari!) americani”.

La clamorosa tesi arriva da chi, non troppo tempo fa, intervistato dal Financial Times, ha detto alcune cose spiacevoli persino sulla carbonara. Ad esempio che in questo condimento per la pasta si possono mettere panna o cipolla, perché tanto una carbonara “giusta” e certificata, non esiste.

Insomma, i grandi piatti e prodotti della cucina italiana non hanno origini leggendarie che risalgono alla notte dei tempi, come tutti noi crediamo. Tra pizze, pomodori e maccheroni c’è molta confusione sulle tavole italiane. Questo dicono e ribadiscono i nuovi profeti dei fornelli.”

Bene ha fatto Teramo, capitale in verità un po’ decaduta dell’antica cucina abruzzese, a rimettere le cose un po’ in ordine. Con un progetto scientifico, che punta al recupero, riordino e valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale della Città e del territorio. Così la cucina teramana rompe gl’indugi per avere visibilità digitale in una Piattaforma partecipativa aperta a tutti, con la ricognizione dell’intero ricettario teramano. In gran parte in disuso o dimenticato, a cominciare dai piatti della cosiddetta cucina povera.

A guidare questa rivoluzione tecnologica fra i fornelli è Fernando Filipponi, giovane storico dell’arte che, lavorando al Louvre di Parigi, ha già dato prova delle sue qualità di studioso. Secondo lui  “la conoscenza della storia gastronomica rappresenta la base su cui costruire un brand utile a promuovere chi fa cucina della nonna oggi e chi la vende.” Il progetto si avvale del prestigioso contributo del noto saggista Massimo Montanari, colonna autorevole dell’interessante iniziativa.

“Teramo a tavola” avrà un successo, a patto che si realizzi una collaborazione sempre più ampia fra istituzioni culturali e i cittadini. Come palcoscenico per dimostrare che la Città è in grado di produrre, direttamente, cultura di alto livello e che lo può fare mettendo in piedi un’équipe collaborativa che unisce le intelligenze e le competenze del territorio. Bisogna documentare e far conoscere il nostro  Patrimonio per raggiungere l’obiettivo di arginare il fenomeno della perdita di memoria gastronomica, fermando chi vorrebbe servirci il “grillismo” anche a tavola.

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