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Ondina Valla: Una Olimpionica oltre gli ostacoli (ultima parte)

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Riportiamo oggi la seconda parte dell’ultima intervista, a tredici anni dalla sua scomparsa,di Dante Capaldi a Ondina Valla, indimenticabile atleta bolognese ma a tutti gli effetti aquilana di adozione. La prima parte si era conclusa  con la seguente domanda:Mi racconta quel favoloso 6 agosto 1936? 
L’autore,  come già annunciato,  vuole dedicare questo Amarcord ai giovani che non l’hanno conosciuta.. 

di Dante Capaldi

Mi racconta quel favoloso 6 agosto 1936?

Sabato primo agosto 1936 la fiaccola, per la prima volta accesa a Olimpia, entrò nel gigantesco Olympiastadion. Dopo aver agevolmente liquidato il turno eliminatorio, il 5 agosto la Testoni ed io superammo con facilità le semifinali. Io, addirittura, eguagliai in 11” 60 il primato del mondo, pur se con un vento favorevole di 2,8 m/s. Il tempo mi venne omologato come record ventoso: all’epoca, infatti, non era ancora in vigore la regola che stabilisce in 2 m/s il limite massimo accettabile.

Giovedì 6 agosto era il giorno della finale.  Per tutta la notte avevo sognato il tricolore sventolante su un pennone, non ero in forma smagliante, tormentata da un fastidioso mal di gambe, così come Claudia Testoni che era nei giorni del ciclo. Faceva freddo, per essere un giorno d’estate, e cercammo di aiutarci con delle zollette di zucchero bagnate nel cognac.

In finale avevo male alle gambe. Partii piano e nella parte centrale della gara avevo qualche problema nel saltare gli ostacoli. Claudia, invece, partì fortissimo, portandosi subito in testa. Io in difficoltà, mi trovai a dover rimontare. Non feci l’errore di guardare le altre e corsi come se fossi la sola in pista: tattica indovinata, perché ai cinquanta metri avevo già raggiunto le avversarie. Fu allora che chiamai a raccolta volontà ed energie, aggredendo gli ultimi ostacoli come mai aveva fatto prima e gettandomi ad occhi chiusi sul filo di lana.

Fu un finale incredibile, con quattro atlete con lo stesso tempo, 11” 7. Ebbi subito la percezione della vittoria, ma per i piazzamenti dovemmo attendere a lungo. Inizialmente fu data seconda l’altra azzurra, prima che la zielzeitkamera, il fotofinish desse un altro responso. Fui cronometrata in 11” 748, ma l’argento andò alla tedesca Anny Steuer con 11” 809. La Testoni perse anche il bronzo, pur avendo ottenuto lo stesso 11” 818 della canadese Betty Taylor (inizialmente classificata quarta) e, dopo uno sportivo abbraccio con la Valla, rientrò negli spogliatoi convinta di essere stata defraudata di una medaglia. Claudia si sarebbe rifatta negli anni seguenti con il titolo europeo del 1938 e quattro primati mondiali.

Mentre le note della Marcia Reale risuonavano e il tricolore saliva sul pennone più alto, realizzando il mio sogno mi adeguai al clima dell’epoca e levai il braccio destro nel saluto romano.

Dopo fummo ricevuti a Palazzo Venezia e Mussolini volle accanto a sé nella foto di rito soltanto me.

Oltre alla soddisfazione della vittoria cosa ricevette?

Una medaglia speciale e un assegno di cinquemila lire. Ma ricordo che divenni subito una star assoluta, quando le mie prime dichiarazioni furono rilanciate dalla radio in tutta Italia.

Dopo l’oro olimpico come andò la sua carriera di atleta?

Tormentata da un continuo mal di schiena (in realtà una spondilosi vertebrale, come ebbe a dire mio marito), gareggiai per altre quattro stagioni, fornendo comunque ottime prestazioni come il primato italiano nel salto in alto, stabilito nel 1937 con 1,56 m e imbattuto sino al 1955. All’inizio degli anni Quaranta lasciai lo sport attivo, dopo sedici presenze in Nazionale, quindici titoli e ventuno record italiani, di cui l’ultimo nel 1940 con il pentathlon.

E poi?

Poi conobbi nel 1944 il chirurgo Guglielmo De Lucchi e mi trasferii definitivamente all’Aquila.

Dopo i grandi successi internazionali, e lei che è nata in una città viva e palpitante come Bologna come si ritrova qui da noi?

Bene, perché dopo quegli anni di allenamenti gare e viaggi, avevo ed ho voglia di tranquillità.

Dissi della medaglia rubata. Come gli aquilani hanno vissuto la vicinanza di una così importante donna dello sport?

Con educazione e rispetto, mi ha risposto. Dato il carattere schivo e profondamente educato della gente, nessuno mi ha fatto sentire il peso del successo. Posso passeggiare tranquillamente per le vie nessuno mi disturba. Anzi, ho l’impressioni che molti giovani, non sanno nemmeno chi sono e la cosa non mi disturba affatto.

Cosa rappresentava per lei lo sport prima del ritiro? E cosa rappresenta oggi?

Lo sport per me è la vita.

Dopo il suo ritiro dalle gare ufficiali come fa a mantenersi in forma?

Continuo a praticare tanto sport, prediligo la corsa, soprattutto all´aperto, a cui mi dedico appena arriva la primavera, e poi il nuoto in piscina, ma anche in mare, che aiuta a liberarsi dai liquidi in eccesso e fa benissimo alla pelle.

La sua vita, Ondina, dopo lo sport?

Nello sport, come nella vita, il proprio valore lo si dimostra alla fine e non all’inizio.

È sicuramente un’immagine triste quella dei riflettori che si spengono, ma forse è proprio in questo momento che si trova il significato di tutto.

I cambiamenti sono tutti un po’ spaventosi, ma non aver paura di aver paura perché questa fa parte del brivido del gioco E’ difficile lasciare andare un sogno sul quale si è creduto per anni e sono pochi gli atleti che riescono a farlo con serenità e riconoscenza.

Molti hanno dovuto imparare a vivere senza lo sport e il “training down“, ad esempio, è stato studiato con la finalità di accompagnare i campioni a disintossicarsi dalla dipendenza dallo sport e ciò sig­nifica ridurre gradualmente l’intensità di allenamento, fino a raggiungere un equilibrio che può essere mantenuto per il resto della propria vita. Questo avviene a livello fisico ma anche emotivo, perché ancora più difficile è stac­carsi dall’eccitazione delle gare e della competizione.

 Essere coinvolti nello sport non dovrebbe precludere l’opportunità di esprimersi sotto altri aspetti: è importante trovare degli spazi, la forza e il tempo per dedicarsi anche ad altro. Come l’allenamento delle capacità atletiche possono portare a raggiungere degli importanti risultati sportivi, così l’acquisizione  di “compe­tenze di vita” possono aiutare ad aver successo e a formare delle persone migliori.

Ma l’Aquila non ha mai dimenticato la sua importante concittadina e nel novembre 2016

L’Aquila le ha reso omaggio con uno spettacolo teatrale: “Ondina Valla: oltre ogni ostacolo” per la regia di Lisa Capaccioli che si è svolta al ridotto del Teatro Comunale.  

Ondina continuò a vivere la sua vita all’Aquila dove morì il 16 maggio 2006. Solo quattro giorni dopo avrebbe compiuto novanta anni.

Milano ha inaugurato il 26 marzo 2018 Via Ondina Valla, una strada dedicata alla prima donna italiana entrata nel palmarès olimpico. L’Aquila non ha avuto questa sensibilità…,purtroppo!!

Concludo dicendo che, nella mia lunga esperienza giornalistica, anche se vissuta in redazioni di provincia, ho incontrato tanti campioni dello sport, pure a livello internazionale, venuti all’Aquila nei ritiri estivi o nei raduni di settore, e devo confessare che questa lunga chiacchierata con Ondina, che sinceramente non posso definire una classica intervista, mi ha dato enorme soddisfazione e mi ha fatto conoscere, oltre che l’atleta e la donna, dei risvolti dello sport che sono stati utili, successivamente, nel mio lavoro come Dirigente Scolastico e Docente all’ISEF (Facoltà di Scienze Motorie, cattedra si Pedagogia generale e differenziale) con campioni come Daniele Masala e Francesco Rocca.

E’ proprio vero che l’esperienza fa maturare, specie se fatta con le persone che hanno molto da dire da insegnare. Grazie Ondina, ovunque tu sia.

* giornalista del Corriere dello Sport dal 1959 al 2002.

– L’Intervista di Dante Capaldi è andata in onda su RTA (Radio Televisone Abruzzo nel 1979,)

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