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FARE O STRAFARE?  

Il Dubbio / 143 

FARE O STRAFARE?  

di Enea Di Ianni

 

Martedì 6 febbraio 2024. Giornata bellissima, tutta sole e tanta voglia di muoversi dentro e fuori “le mura”. Non è ancora primavera, ma tutto ci proietta in quella direzione. Incontrandomi con qualche amico, dopo lo scambio di opinioni sui risultati calcistici del sabato e della domenica appena trascorsi, il commiato, almeno per questa giornata, è un darsi appuntamento, ideale, per la serata: sintonizzati su RAI 1 e sul  Festival di Sanremo che apre, proprio oggi, di martedì.

Mia madre avrebbe, subito, aggiunto che “Né di venere, né di marte, non si sposa né si parte e non si dà principio all’arte!”… Detti di un tempo, che sanno di devianti superstizioni e che vanno sfatati. Assolutamente!

Così, alle 20 e 44, l’Italia degli amanti della musica – ma anche dei curiosi innamorati d’altro…- era sintonizzata, tutta, su RAI 1 e non ci si è mossi fino a quasi le 2:00 del giorno dopo, mercoledì 7, considerato che l’ultima esibizione canora c’è stata all’1:46.

Cinque ore di “Fermi tutti!”, anche se le occasioni per potersi muovere e sgranchirsi le gambe ci sono state offerte dall’abbondanza di stacchi pubblicitari – davvero eccessivi per una emittente che paghiamo col canone! – inseriti, credo, non soltanto per fare cassa, ma anche per regalarci piccole “ricreazioni” domestiche”.

Va detto, ad onor del vero, che quasi sempre la kermesse di Sanremo, negli ultimi anni, si è andata caratterizzando non soltanto  come grande officina di bella e buona musica, ma anche la madre di crescenti “maratone” canore soprattutto per gli appassionati del bel canto italiano. E’ vero che il Festival sanremese ha svolto il ruolo di palestra canora capace di accendere, in tanti, amore e passione per il canto e la musica e di alimentare anche sogni di successo in giovani, giovanissimi e meno giovani, distogliendoli e allontanandoli, magari, da percorsi di vita quanto meno discutibili.

Tante belle melodie continuano a sopravvivere ai gusti del tempo, altrettante riescono addirittura ad avere nuova vita con intelligenti “maquillages” ad opera, davvero apprezzabile, di abili arrangiatori.

Già, gli “”arrangiatori”…! Mi vien da pensare al significato del verbo “arrangiare”, che vuole dire accomodare alla meglio, rimediare a qualcosa – che non è proprio il massimo – e a quello di “arrangiatore” che sa, davvero,  di eccellenza. Tante belle melodie continuano a sopravvivere ai gusti del tempo, altrettante riescono, addirittura,  ad avere nuova vita grazie ad  intelligenti “maquillages” ad opera proprio degli “arrangiatori”, tutt’altro che sprovveduti o scarseggianti in qualcosa.

Allora faccio il nome di Ennio Morricone, autore di colonne sonore (“Per un pugno di dollari”, “C’era una volta il West…”), ma anche autore degli “arrangiamenti” di “Se telefonando”, “Sapore di sale”, “Abbronzatissima”…). Un maestro, Morricone il cu “arrangiamento” dava coloritura al pezzo, lo arricchiva e lo rendeva ancor più appetibile di quanto già lo fosse.

Martedì 6 febbraio, dalle 20:44 in poi, tutta una lunga teoria di canzoni intervallate da pubblicità, performances di conduttori e co-conduttori, collegamenti vari con esibizioni di ospiti all’esterno dell’Ariston e sull’ammiraglia “Costa”, ancorata sul mar Ligure.

Tutto davvero bello da vedere, ci mancherebbe, però, quando tornavano ad avere spazio le canzoni, la voce dei cantanti in gara, dal mezzo televisivo, non sempre giungeva chiara. Per diversi interpreti, com’ era già accaduto anche lo scorso anno, la voce arrivava sovrastata dal  suono del pianoforte-guida. E’ vero, non è accaduto con tutti, però con molti si è verificato e non si può pensare che il Festival di Sanremo si serva di tecnici dell’audio e del suono che si distraggano non preoccupandosi dei segnali in uscita e di ritorno.

L’inviato Roberto Pavanello, su “La Stampa” del 7 Febbraio 2024, riporta una dichiarazione, rilasciata da Gino Paoli in risposta alla domanda se avesse guardato il Festival:

No, non guardo Sanremo. Una volta era il Festival della canzone, non era neanche importante chi la cantasse,  poi le case discografiche si sono accorte del potere rituale per l’Italia e adesso fanno il prodotto finito sperando che abbia una promozione. Da lì la tv si accorge che lo spettacolo di Sanremo funziona, arriva non solo in Italia ma anche fuori, e allora si appropria di Sanremo e lo fa diventare lo squallido spettacolo che è adesso”.

Il crudo accento di Gino Paoli  si colloca sull’esser venuto meno il senso per il quale avesse vita la gara sanremese: Festival della “canzone italiana”, del bel canto e che, negli ultimi tempi, si è andato trasformando in festival del tutto e del niente, fino a diventare passerella per tanti, forse troppi: un grande contenitore e non più della sola “canzone  italiana”.

Mercoledì 7, la sera, mi sono imposto di verificare i tempi dedicati alle canzoni e quelli dedicati ad altro. Ho scelto il confronto canzone-pubblicità, un confronto fatto in famiglia, tenendo fuori conteggio ospiti, presentazioni e uscite dall’Ariston. Bene: ogni due esecuzioni di canzoni si apriva il siparietto pubblicitario che occupava 6-7 minuti. A non voler essere eccessivi, possiamo dire che si eguagliavano: 45 minuti per l’ascolto di 15 canzoni, identico spazio temporale riservato alla pubblicità. Aggiungendo ospiti, presentazione delle canzoni in gara, collegamenti esterni, alla fine si è andati ben oltre l’una del mattino dell’8 febbraio. Troppo in là per quanti, il giorno dopo, devono lavorare, troppo in là anche per tante madri di famiglia che, al mattino seguente, hanno l’incombenza di accudire figli che vanno a scuola; troppo anche per gli adolescenti-studenti.

Credo sia eccessivo anche impegnare cinque serate, cinque serate per un totale di non meno 20 ore.

Fare è bello, strafare no, neppure per amore e, forse il fascino autentico del Festival della canzone italiana, è andato perduto proprio in quel lontano 26 gennaio del 1967, col suicidio di Tenco, alla fine della penultima serata, quando, malgrado tutto, si è andato avanti… !

Tencoracconta Gino Paoli. “E’ stato uno dei primi che se n’è accorto, che ha sentito. E, dopo, aveva la canzone che si chiamava Bisogna saper perdere. Se c’ero io, a Sanremo si fermava tutto perché se in un’officina o in una fabbrica muore un operaio, si ferma tutto. Noi facevamo un mestiere e il mestiere va rispettato[1]

Forse, quella volta, non era il caso di dire e dirsi: “show must go on”!

                             [1] Da Podcast Tintoria, a Genova, davanti alla platea del teatro Sant’Agostino

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