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LA TAV ABRUZZESE RALLENTA LA MARCIA

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LA TAV ABRUZZESE RALLENTA LA MARCIA

È di questi giorni l’ultima notizia che decanta la bontà dell’ammodernamento della linea ferroviaria Tirreno Adriatico. Veramente sono state evidenziate diverse correnti di pensiero, che meriterebbero maggiore attenzione anche da parte della pubblica opinione. Attenzioni preventive, che potrebbero fornire utili contributi per soluzioni ottimali, non sterili critiche e polemiche postume, che servirebbero soltanto a versare lacrime inutili.

La scelta della Regione Abruzzo per realizzare la linea ferroviaria Pescara – Roma ad alta velocità ha sollevato una serie di polemiche campanilistiche, in quanto l’ipotesi prevedeva l’esclusione delle aree interne, o gran parte delle stesse. Non intendiamo sollevare vanesie polemiche poco produttive, neppure inutili opposizioni. La scelta è opera esclusiva dell’esecutivo regionale, perciò, in maniera costruttiva possiamo provare ad analizzare l’argomento.

In questi ultimi giorni decise opposizioni sono state promosse non dalle aree interne, bensì dai cittadini e dalle amministrazioni dei centri abitati del “chietino” interessati dalla linea ferroviaria in esame. Abbiamo avuto l’impressione, almeno dalle notizie pubblicate da diversi quotidiani, che il percorso della TAV abruzzese abbia subito un iter alquanto tormentato. La Regione si è preoccupata prima di ottenere il finanziamento dell’opera e, poi, senza una linea programmatica razionale, ha pensato di far redigere il progetto di fattibilità. Dopo di che sarebbe stato necessario passare ad una seria programmazione, corredata del prescritto prospetto “costi–benefici” per il successivo obbligatorio passaggio al vaglio del Consiglio Regionale.

La notizia, piombata sulla comunità abruzzese, ha provocato vibranti reazioni, specialmente da parte delle popolazioni delle aree interne. Il ripiego, per calmare le proteste dei cittadini danneggiati, è stato individuato con un possibile inserimento nel programma nazionale degli investimenti della tratta ferroviaria Roma – L’Aquila. Ossia, il classico ramo secco che non avrebbe alcuna possibilità di realizzazione, in quanto l’esame “costi–benefici” farebbe pendere il piatto della bilancia decisamente verso i “costi” e, quindi, non finanziabile, almeno in questo periodo di ristrettezze finanziarie per le casse dello Stato.

Inaspettatamente, hanno sollevato vibranti proteste Sindaci e cittadini della fascia pedemontana di Chieti che, a gran voce, si sono dichiarati contrari alla TAV abruzzese. Le ragioni sono state diverse. Lo sconvolgimento urbanistico con la demolizione di alcuni fabbricati. Il peggioramento delle condizioni di vita dovute ai rumori. La sicurezza delle comunità locali legata alla eccessiva velocità dei convogli. L’alterazione dei livelli igienico sanitari minati dalle polveri sollevate dalla velocità dei convogli. Le ragioni di questa scelta, forse troppo affrettata, anche se non portate all’attenzione della comunità regionale, sono state dettate dalla necessità di effettuare un ulteriore tentativo di salvataggio delle due più che decotte realtà regionali: “l’interporto di Manoppello e il mercato ortofrutticolo di Cepagatti”. Scelta discutibile e non troppo oculata. Sarebbe stato sufficiente, infatti, che la Regione avesse preso atto della pesante incidenza delle sensibili perdite d’esercizio che l’Ente Regionale è stato costretto a calare nei propri consuntivi annuali. A questo punto sarebbe caduta, inesorabilmente, la scelta della TAV regionale, dai costi vertiginosi e, anche e soprattutto, perché la stessa non avrebbe recato alcun beneficio alle predette aziende. È vero che le stesse risultano collocate sull’asse mediano della fascia Adriatica, ma è altrettanto vero che non risultano baricentriche rispetto al territorio dell’Italia centrale e alle grandi strutture marittime nazionali. Così pure, appare discutibile la scelta di un collegamento rapido tra L’Aquila e Roma. Non sarebbe giustificato da alcuna tesi plausibile e perseguibile. Lo ha evidenziato, con molta eloquenza, il noto linguista Francesco Sabatini, che ha definito inutile il braccio ferroviario se non collegato con l’Adriatico, verso Pescara. In questo caso, però, sarebbe un vero e proprio doppione improponibile. L’idea non è peregrina. Se gli attuali amministratori, di ogni ordine e grado, conoscessero la storia, in particolar modo quella delle ferrovie abruzzesi, si accorgerebbero che la memoria rappresenta sempre una piattaforma valida, sulla quale si può costruire correttamente il presente e programmare con successo il futuro regionale. Il problema era stato posto sul tappeto governativo fin dalla fine dell’ottocento, quando alcune Province non erano state ancora costituite. Basterebbe leggere una razionale ricerca effettuata dal Prof. Enrico Cavalli: “Il dibattito politico post-unitario, locale e nazionale, sulla costruzione delle ferrovie”. Diversi parlamentari abruzzesi si sono battuti per lo sviluppo della rete ferroviaria in Abruzzo. Tra i più interessati troviamo Giuseppe De Vincenzi, il primo che sostenne la linea Roma, L’Aquila, Teramo, Adriatico. Giuseppe Angeloni, Silvio Spaventa, Raffaele Mezzanotte e anche i Principi Torlonia. La rete ferroviaria abruzzese, in particolar modo la tratta Giulianova, Teramo, L’Aquila, Carsoli, Roma, fu oggetto di particolare attenzione da parte di esponenti di spicco dell’allora mondo politico nazionale, come Carlo Cattaneo ed elementi responsabili del mondo militare, come La Marmora e Menabrea, che definirono questa linea mediana del Paese la “migliore congiunzione strategica, militare e commerciale delle Province meridionali con il nord della penisola”. Il problema attuale meriterebbe maggiore attenzione, senza lasciarsi trasportare dalla volontà di polarizzare tutti gli investimenti economico finanziari in un solo territorio, danneggiando e abbandonando tutto il resto ad un destino infausto. Non sarebbe una dimostrazione di sana e oculata amministrazione. Sarebbe necessaria una attenta riflessione e una profonda analisi critica per valutare se sia il caso di mantenere in vita aziende oltremodo passive, i cui debiti sono stati pagati e saranno pagati anche da quei territori non premiati dall’Esecutivo Regionale. Ci vorrebbe il coraggio per valutare scelte mirate e razionali, volte a far decollare lo sviluppo socio economico dell’intero territorio regionale. Si potrebbero mettere sul tavolo della discussione, tra le tante idee, tre importanti argomenti per promuovere un corretto sviluppo regionale a trecentosessanta gradi:

– Cambiamento della destinazione d’uso dell’interporto, trasformando la struttura in un Ipermercato, particolarmente adatto alla grande distribuzione nazionale, lasciando in piedi l’idea della razionalizzazione della tempistica di percorrenza della ferrovia Pescara – Roma, ponendo da parte la TAV regionale. Dimensionamento del Mercato Ortofrutticolo Regionale alle reali potenzialità dell’area interessata, con la conseguente variazione d’uso delle superfici in esubero, anche in considerazione della eccessiva incidenza dei costi energetici commisurati alla mastodontica struttura.

– Abbandono dell’idea della tratta ferroviaria Roma L’Aquila, facendola diventare il collegamento mediano dell’Italia, così come auspicato dai nostri rappresentanti politici di fine ottocento, Roma, L’Aquila, Teramo, Giulianova, quale asse strategico commerciale dell’intero Paese.

– Vitalizzare l’interporto di Avezzano, primo progetto in Abruzzo, che ha caratteristiche e requisiti dei trasporti intermodali, sia per la centralità dell’area, sia la posizione baricentrica rispetto ai maggiori porti commerciali e agli aeroporti nazionali del Centro Italia, oltre che a disporre di una rete stradale idonea a sopportare il volume di traffico pesante su gomma e su rotaia. I vantaggi di questa scelta ricadrebbero positivamente su tutta la Regione.

(Fulgo Graziosi Facebook -02.06.2022)

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