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PEDAGOGIA DELLA CATASTROFE E BUON USO DELLA PAURA

Il Limite / 42

di RanIero Regni

La paura è un limite, e ne abbiamo parlato, perché, spaventare le giovani generazioni nei confronti di un cambiamento climatico catastrofico e di un peggioramento delle condizioni ambientali, può avere un effetto demoralizzante se non paralizzante. Il limite della paura è che se ne possono fare gli usi più diversi. Infatti si può agitare la minaccia di una apocalisse climatico-ambientale per spingere le persone a prendere coscienza, a mobilitarsi per impedire alle lobby delle grandi imprese globali e nazionali, ai decisori politici, di fare scelte energetiche che aumentino il problema dell’inquinamento. Gli adulti al potere stanno compromettendo le condizioni di un futuro in cui loro non ci saranno più, mentre saranno proprio i giovani, che pure non prendono decisioni oggi, a scontarne le conseguenze. Questo è stato il forte impulso che ha prodotto i movimenti giovanili del Fryday for future.  Ma ci può essere anche chi approfitta della paura per imporre false soluzioni, ancora più disastrose, per gli strati popolari ma favorevoli nel breve termine per le imprese multinazionali legate alle lobby dei combustibili fossili, che hanno causato il disastro. All’innalzamento delle temperature molti hanno reagito comperando climatizzatori, che tutti sanno arrecheranno ancor più danni all’ambiente. La reazione al pericolo può portare ad una presa di coscienza globale e alla ricerca veloce delle soluzioni veramente alternative verso le energie rinnovabili oppure a reazioni autoritarie ed antidemocratiche. Un caso evidente è quello della riproposta del nucleare, caldeggiata anche dal nostro Ministro della Transizione ecologica. Il nucleare ha presentato negli anni un conto colossale di cui ancora non si è arrivati a stabilire l’entità (vedi il problema delle scorie, vedi gli incidenti, da Chernobyl a Fukushima) che ora qualcuno parla di atomo di nuova generazione, come se il plutonio avesse cambiato natura e fosse diventato buono. Ma la crisi energetica morde, assieme a quella economica e sembra giustificare tutto. 

Il paradosso che si possa utilizzare la paura per scelte indirizzate verso scenari opposti è che, come scrive Latouche, “in alcuni casi non è l’umanità che va resa più saggia ma è l’oligarchia che va disarmata e neutralizzata”. 

L’autore di questa rubrica sta lavorando, anche attraverso queste note, ad una più consistente pedagogia del limite, proprio perché si possa evitare una pedagogia della catastrofe, da cui sarebbe difficile imparare qualcosa o cambiare direzione. Eppure può esistere una “euristica della paura”, come sosteneva il grande filosofo tedesco H. Jonas nel suo fondamentale Principio responsabilità.  Uno dei grandi testi che, pur essendo stato scritto nel 1979 appare sempre più vero e utile oggi. Il suo sottotitolo, Un’etica per la civiltà tecnologica, pone il problema della frattura dell’uomo contemporaneo nei confronti della natura e ne trae tutte le conseguenze pratiche ed etiche, davvero adeguate alle sfide del nostro tempo. Fino ad arrivare alla famosa formula, di sapore kantiano, “agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra”. Jonas, può essere definito un filosofo ecologista. Ma questo appellativo viene utilizzato dai detrattori interessati per diminuire e accusare di estremismo settario ma, almeno per chi scrive, è invece un titolo di merito che in questo caso segnala la preveggenza di un pensiero davvero all’altezza dei nostri tempi. Jonas scrive, “è meglio prestare orecchio alla profezia della disgrazia che a quella della felicità” e questo non per puro masochismo, ma proprio per scongiurarla e per smascherare la politica dello struzzo come una forma di ottimismo suicida. 

Un’altra posizione, la quale sostiene un uso positivo della paura, è quella del “catastrofismo illuminato” dello studioso francese J. P. Dupuy, secondo il quale “non riusciamo a far valere a sufficienza il futuro, e in particolare il futuro catastrofico”. In altre parole quello che può salvarci è la stessa cosa che ci minaccia. Immaginare e pensare cioè che quello che consideriamo impossibile è già accaduto e quello che è impossibile è oramai certo. Occorre imparare, non più dal rischio, ma dalla catastrofe. Predire il crollo per provocare una reazione capace di smentire la profezia apocalittica. Allora si può sviluppare una pedagogia positiva della catastrofe, allo scopo di porre la chiara domanda: salvare il nostro pianeta vivente oppure il nostro stile di vita insostenibile?

Sì, cari amici, come sostengono anche Marco Paolini e Telmo Pievani nella bellissima trasmissione televisiva, tra spettacolo teatrale e scienza, La fabbrica del mondo (in onda il sabato in prima serata su RAI 3), il climatizzatore del pianeta si è rotto e dobbiamo sottrarci all’inerzia e correre ai ripari.  

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