HomeLa RivistaULRICH ZIEGER: L’EREDITÀ DI UN’ANIMA ERRANTE

ULRICH ZIEGER: L’EREDITÀ DI UN’ANIMA ERRANTE

Ulrich Zieger, un nome che evoca un’intrigante dualità di sogni e realtà, di lotta e liberazione. Nato il 29 dicembre 1961 a Döbeln, Zieger è cresciuto in un’epoca e in un luogo intrisi di tensioni e divisioni. La sua vita è stata un’odissea attraverso i labirinti della creatività e della sofferenza, lasciando un’impronta incancellabile nella letteratura e nel teatro contemporanei.

Zieger ha da sempre dimostrato una sensibilità fuori dal comune, canalizzando le sue emozioni tumultuose in forme d’arte che hanno sfidato le convenzioni e rotto le catene dell’oppressione. Cresciuto in una Germania divisa, ha sperimentato la privazione e la repressione, ma ha trovato nel mondo dell’immaginazione e dell’espressione creativa un rifugio e una ribellione operosa contro le limitazioni imposte dalla sua realtà.

La sua scrittura, permeata da una profonda introspezione e da un’innata resistenza alle cose storte del mondo, ha toccato le corde più profonde dell’anima umana. Le sue poesie erano come fari nella notte, nel guidare i lettori attraverso le tempeste dell’esistenza verso una terra di speranza e consapevolezza. La sua prosa, intrisa di simbolismo e allegoria, è stata un invito ad esplorare i recessi più oscuri della mente umana e ad abbracciare la complessità del vivere.

La vita di Zieger non è stata solo una ricerca di significato e bellezza ma anche una lotta contro le forze oscure che minacciavano di inghiottirlo. Il suo rapporto conflittuale con il tempo e con la realtà pragmatica lo ha portato ad affrontare demoni interiori e esterni con una determinazione incrollabile. Il suo vissuto sul filo del rasoio, tra genio e follia, tra ispirazione e disperazione, ha trovato nella sua arte un rifugio ed un mezzo di sopravvivenza.

Il suo trasferimento in Francia ha segnato un’altra tappa nel suo viaggio tumultuoso. Lì ha trovato un ambiente più favorevole alle sue idee di libertà e individualità, ma anche nuove sfide e contraddizioni da affrontare: il suo spirito cosmopolita e il suo amore per la vita hanno trovato terreno fertile in questa nuova terra, ma il richiamo della sua patria e le ombre del passato non si sono mai dissolte.

La morte prematura di Ulrich Zieger nel luglio 2015 ha lasciato un vuoto nel mondo della letteratura e del teatro. Ma il suo spirito ribelle e la sua voce inconfondibile continuano a vivere attraverso le sue opere, ispirando e commuovendo generazioni presenti e future. Il suo lascito è un monito contro la stagnazione e la rassegnazione, un invito a esplorare i confini della nostra esistenza e a abbracciare la complessità e la bellezza del vivere..

(R.P.)

Argomento non redento.

Fuori galleggiando passa Ofelia,
noi riposiamo nascosti in casa,
un castello d’acqua, un ponte doganale,
seduti chini sui bicchieri
e non ci teniamo per mano,

il suo riso argentino, le sue ultime parole,
tutta pronta ormai a staccarsi per sempre,
ci pungono come aghi maligni
nei timpani e nelle vene,
non ci teniamo affatto,

siamo semplicemente presenti –
e la strada verso il mondo è stata indicata
e non vediamo l’ora che anche noi
veniamo portati via dalla frescura
in cui ora la sua chioma là,

il suo sguardo sta galleggiando.

A un lettore taciturno.

Quand’ero più giovane andavo dietro ai più anziani
ah, i leggendari anziani …

così ho scritto una volta perso il foglio
tranne questo inizio,

a volte delle briciole cadono tra due cuscini da parata
a volte un cavallo muore in piena corsa,

da qualche parte un gallo come un folle vola contro
una campana da cento decenni ormai non più suonata,

quante cose ci siamo raccontati per ammazzare il tempo
e sempre è venuto qualcuno a dire: è il tempo che [ammazza noi,

queste belle rivoluzioni riuscite
sono tutte state bloccate esangui,

ora potremmo abbozzare affreschi per pareti
finite da tempo nella paletta per la spazzatura

: teste di gesso.

Fine della cerimonia.

Non è del tutto senza meta il mio cammino,
sto traversando nuovamente tutti i luoghi
in cui ho urlato
e coperto di gloria le mie urla,

le persone come me le ricordavo
e per lungo tempo non le ritrovai,
sono tornate sulle terrazze e le piazze
ed anche alle fontane,

zingari rumeni fanno ballare i loro bambini scuri
graziosamente su valzer per organo di Barberia,
su musiche giavanesi piagnucolanti
dei tempi dei balli con fisarmonica parigini,

il mio cuore e il mio spirito a quanto pare
si sono interamente scostati uno dall’altro,
il frigo sta quasi crollando per lo schifo,
il russo vuole versarvi dentro un’ultima vodka,

eppure non è del tutto senza meta il mio cammino,
sto traversando infreddolito una neonata calura,
albergatori e camerieri pieni di aspettative
preparano la città al festival delle bande musicali,

la notte mediterranea è inaugurata,
la gente è tutta etichettata
e completamente impenetrabile –
le ragazze con i capelli lunghi

ballano.

Tristezza delle terrazze,

Le fotocamere con le loro immagini accelerate
sono improvvisamente sparite, due terzi dei tavoli sono [liberi,
le scuole che puzzano di muffa da polvere estiva e mosche [morte
hanno rispalancato le loro fauci voraci

ci sono persone che disprezzano i turisti che a [mezzogiorno vanno al mare
e di sera ustionati gironzolano per il centro della città,
che sono sempre un po’ troppo rumorosi, troppo stupiti delle [cianfrusaglie,
ma hanno dimenticato tutte le gioie della partenza

so bene con quanta tristezza in realtà quasi tutto si svolge
nel mondo senza via d’uscita, con quanta desolazione, [scarsezza, fatica:
eppure ben presto di immagini tutto di nuovo si [arricchirà,
non voglio neanche rimare, non voglio descrivere nulla

Scintillare oscuro,

Ieri sera ho notato
che ti amo,
anche se sto per
perdere la strada,

il mio amore era strano
spesso mi aggrediva,
più spesso lo rincorrevo –
io sono così,

e la mia strada finisce nel vuoto
il vuoto mi indigna,
ho fatto le feste
e vedo l’amore che odia delle liscivie

Apparizione pubblica,

Ora a volte le cose stanno così
che non voglio neanche essere vissuto,
non vorrei essermi appoggiato al muro
della chiesa parrocchiale evangelica di Waldheim
nella luce d’autunno,

quando avevo sei o sette anni,
riempito sì di perdizione e malinconia
e pure silenziosamente celebrandole in ultimi
raggi considerevoli
del sole,

il vino,
imbevibile, divampava
in un rosso del tutto inspiegabile
sulle case nude e svettanti
dalle quali proveniva un pungere,

la maggior parte delle persone
in cui ho creduto e alle quali mi sono affezionato,
che ho conosciuto “solo così”,
non le vorrei neanche più conoscere,

vorrei
non dovermeli più immaginare:

se siamo caduti fuori dal paradiso,
là evidentemente la situazione è terribile,
paradiso e inferno sono interscambiabili,
il che rimane uno scandalo,

ero soltanto ubriaco
e ogni tanto nostalgico,

nessuno di coloro mi ha amato
solo il mio cammino di morte li ha avvinti,

avrei voluto avvincere te,
te pure e anche te, ma eravamo troppo giovani
e troppo vigliacchi nei nostri costumi da carnevale
qualcosa è andato storto, nessuno sa cosa fosse stato,

un robot che davvero non sapeva niente
e che avevano addestrato
a farti veramente del male –
talmente tenaci sono i fascisti,

chi sono queste persone infami
cosa credono di essere e cosa
non giunge fino a loro

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