HomeLa RivistaAttualità e AmarcordOndina Valla: Una Olimpionica oltre gli ostacoli (prima parte)

Ondina Valla: Una Olimpionica oltre gli ostacoli (prima parte)

Riportiamo in questo numero la prima parte dell’ultima intervista, a tredici anni dalla sua scomparsa, a Ondina Valla, indimenticabile atleta bolognese ma a tutti gli effetti aquilana di adozione. Dante Capaldi vuole dedicare questo Amarcord ai giovani che non l’hanno conosciuta.. 

 Conobbi Ondina Valla nel negozio di articoli sportivi Lussosport del collega in giornalismo Gianni Lussoso. La invitai a venire come ospite nella mia trasmissione a RTA (Radio Televisione Abruzzo da me fondata e diretta nel 1978). Accettò subito con molta semplicità. Temevo un suo rifiuto considerando la statura del personaggio, prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1936 a Berlino. Invece fu affabile, amabile subito mi mise a mio agio, io giovane cronista dell’Aquila e lei grande atleta intervistata in tutto il mondo

Ondina Valla era una donna statuaria, molto bella anche in quel 1964. Viveva ad Aquila perché aveva sposato il dottor De  Lucchi che aveva una sua clinica in periferia, nella zona di Pettino.

Mi apparve giunonica, pur essendo alta 173 cm, ma per quegli anni era una altezza non usuale nelle donne.

Venne in redazione e portò anche la medaglia d’oro vinta a Berlino, quella medaglia che le fu rubata in casa in via XX Settembre, e che dopo anni le feci avere, un duplicato, dal presidente del Coni e, quel giorno, il suo commento fu: “Bella, ma non è la stessa.”

Racconto in sequenza ciò che mi disse in quella lunga intervista, un po’ sollecitata dalle mie domande, molto dalla sua voglia di raccontarsi, dopo tanti anni e dopo essere uscita dall’interesse dei media che bruciano le realtà dopo pochi anni.

Scoprii che ad Aquila, tra i tanti ragazzi che frequentavo per le mie attività didattiche e giornalistiche, molti non sapevano che avevamo in città una vera gloria internazionale.

Molto del suo racconto lo propongo come riflessione d’insieme, e senza spezzettare il suo dire con le domande e le risposte.

Ascoltarla era un’esperienza fantastica e lei, con il suo accento ancora bolognese, nonostante gli anni vissuti all’Aquila, coloriva le varie fasi della sua vita di atleta con espressioni che facevano non solo immaginare, ma vivere, i suoi momenti di gloria e di lotte e di sofferenze per arrivare al momento culminante in cui Hitler le consegnò la medaglia a Berlino.

Per rompere il ghiaccio, presi il discorso alla larga, non volevo bruciarmi l’intervista chiedendole subito della vittoria olimpica.

Signora, perché si corre?

La socievolezza, mi disse, è una motivazione potente della pratica sportiva. Tutti coloro che fanno sport sanno che in compagnia è più facile perseverare a lungo in un’attività. L’allenamento regolare è stimolato dall’emulazione che nasce nei circoli e nelle uscite di gruppo.

Signora Valla…

Può chiamarmi Ondina, se preferisce, così mi fa sembrare una vecchia signora ed io, invece, sono ancora giovane e vitale, le mie gambe sanno correre ancora e sfiderei qualche “quatrana” a reggere il mio passo.

Certo Ondina, allora le chiedo, se non può sembrare assurdo il sacrificio se si misura la fatica con il risultato ottenuto: nessun guadagno se non simbolico e di valore esclusivamente soggettivo. Certo, per lei è diverso perché è arrivata al top olimpico, ma le migliaia di persone che corrono, perché lo fanno?

Gli esseri umani sono “nati per correre” mi rispose con semplicità.

Quando ha cominciato a correre e ha capito che poteva essere la sua strada, il modo di conquistare se stessa?

Con gli occhi rivolti verso il soffitto, quasi stesse tornando ai suoi anni giovanili, in un sussurro, mi disse: Ho sempre corso da bambina e mi divertivo a staccare sempre i miei fratelli. Appena undicenne, il 23 giugno 1927, vinsi con un metro e dieci il salto in alto in una gara tra le alunne di Bologna, piazzandomi poi al terzo posto nei 50 metri piani e nel lungo, con un buon 3,52. Il maggiore Vittorio Costa, organizzatore dei Littoriali, era presente all’evento e mi disse di impegnarmi in quella disciplina perché, per lui, avevo un talento naturale. Fu l’inizio di una carriera folgorante.

A soli quattordici anni, divenni campionessa italiana assoluta, e fui convocata in Nazionale dal CT Martina Zanetti che mi fece gareggiare in cinque gare (100 m, staffetta veloce, 80 m. a ostacoli, lungo e alto) e, in occasione di un Italia – Belgio del 1930, mi decisi a farmi chiamare, da quel momento Ondina, il nome in cui tutti mi conoscono ma che in realtà era Trebisonda, un nome orribile.

Perché quel nome?

L’ho chiesto a mio padre Gaetano, mi disse che aveva scelto un nome da “Mille e una notte”: Trebisonda, dall’antica città turca Trapezunte che possedeva tutte le meraviglie che anche io avrei dovuto possedere.

Mi ha detto che gareggiava in casa con i fratelli…

Sì ero la quinta dopo quattro fratelli, era la prima femmina di casa.   Madre Natura mi donò un fisico di tutto rispetto, quasi “campagnolo”, che mi permise, sin da giovanissima, di primeggiare nell’atletica, dal salto in alto alla velocità pura sino alla corsa ad ostacoli.

Chi erano i suoi fratelli? Qualcuno ha avuto successo nello sport?

Si chiamavano Augusto, Filippo, Walter e Rito, ma nessuno si è dato allo sport, è per la famiglia bastavo io. E rise alla sua battuta illuminando quasi il nostro studio televisivo.

Sinceramente, Ondina, ha mai avuto paura di vincere?

Strana, ma molto interessante la tua domanda. E’ apparentemente incomprensibile come un atleta, nell’affrontare il confronto agonistico, possa temere di vincere. Eppure questo fenomeno è tutt’altro che raro. Il mio allenatore, nei primi anni, quando vincevo quasi sempre, mi diceva che dovevo stare attenta alla depressione da successo.

Come si conquista il successo?

La conquista del successo richiede una notevole aggressività. Questa ha bisogno di essere gestita con disinvoltura fin dall’età infantile. Lo sport richiede aggressività.

Mi racconta quel favoloso 6 agosto 1936? (continua nel prossimo n. 152)

 

* giornalista del Corriere dello Sport dal 1959 al 2002.

– L’Intervista di Dante Capaldi è andata in onda su RTA (Radio Televisone Abruzzo nel 1979,)

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