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QUANDO A CASA C’ERA IL PATRIARCATO E A SCUOLA IMPERAVA IL MATRIARCATO

QUANDO A CASA C’ERA IL PATRIARCATO

E A SCUOLA IMPERAVA IL MATRIARCATO

di Marcello Matelli

Inutile girarci attorno con i media mobilitati dalla mattina alla sera in modo ossessivo, senza andare al sodo: la nostra società, con la crisi della famiglia che si somma a quella della scuola, ha perso ogni punto di riferimento pedagogico e formativo.

 Per non dibattere a vuoto e non sbagliare, mettiamo ordine, dando il valore giusto alle parole e, soprattutto, alle esperienze personali. Quando in famiglia c’era il patriarcato e anche mia madre aveva libertà di parola, nella scuola che mi ha formato dominava il matriarcato. A cominciare dalla preside, poi la prof di lettere e storia, la docente di latino e quella di Scienze.

Negli anni più decisivi ho frequentato un gineceo in cattedra. Le prime due docenti erano molto preparate, severissime e, quando entravano in aula, non volava neppure una mosca. L’insegnante di lettere e storia aveva la fissa delle poesie o dei brani più significativi da mandare a memoria. E guai a sottrarsi! La mattina prestissimo era mia nonna Germana a svegliarmi per l’ultima verifica di quanto in ore di studio la mia memoria aveva digerito durante il giorno in vista della puntuale e temuta interrogazione. Che era sempre una grande soddisfazione superare a pieni voti, con una prof particolarmente attenta a gratificare i bravi e a punire i negligenti. Non solo. Come donna non era particolarmente affascinante, ma lo diventava quando metteva da parte i libri di scuola, conversando da mamma con la nostra classe tutta al maschile. Sapeva guardarci ad uno ad uno negli occhi, impartendo con bravura indimenticabili lezioni di vita e di educazione sessuale inclusa. Era un piacere sentirla conversare con semplicità e carisma, attirando l’interesse e l’entusiasmo di noi allievi.

Molto diverse per noi le ore con le altre due insegnanti, considerate un male necessario, per la noia con cui seguivamo le loro lezioni. Era per me addirittura un incubo lo studio della “consecutio temporum” imposto dalla rigida docente di latino che, pur conoscendo la materia, per noi studenti era una pesantezza mortale ascoltarla.

Uno spunto per concludere: nelle nostre scuole non servono grandi riforme irrealizzabili, ma relazioni e comportamenti corretti, con un insegnante (almeno uno!) bravo a parlare al cuore e alla mente dei giovani, coinvolgendoli su ciò che occorre apprendere fra i banchi e, soprattutto, trasmettendo i concetti basilari che servono nella vita. Come sapeva fare con noi quella indimenticata prof di italiano e storia, che tante volte mi ha costretto ad alzarmi all’alba per imparare a memoria interi canti della “Divina Commedia”.

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