HomeLa RivistaSCUOLA DEI NUMERI?

SCUOLA DEI NUMERI?

Il dubbio / 139

SCUOLA DEI NUMERI?IL DUBBIO/ SCUOLA DEI NUMERI?

di Enea Di Ianni

Annualmente le scuole vivono sulla propria pelle, oltre ai problemi di sempre e ai nuovi che si aggiungono, e non sono pochi, anche il timore incombente derivante dagli effetti di possibili dimensionamenti.  Ai sensi dell’articolo 138 del Decreto Legislativo n. 112/1998 e della riforma del Titolo V della Costituzione (vedasi Legge costituzionale n. 3 /2021) le Regioni, si attivano per il piano di dimensionamento che si concretizza  attraverso operazioni di aggregazione, soppressione e trasformazione delle istituzioni scolastiche e di arricchimento dell’offerta formativa operando, anche e se è l caso, l’attivazione di nuovi indirizzi di studio per le istituzioni del secondo ciclo.

La finalità dell’operato dell’Ente Regione, parafrasando un tantino l’intenzione del Legislatore, dovrebbe mirare ad adeguare l’esistente per rendere, davvero, il tutto più efficiente, più efficace, più rispondente ai bisogni educativi di quella data utenza e alla valorizzazione delle  potenzialità,  delle aspirazioni e risorse del territorio nel rispetto della specificità socio-culturale del luogo.

Mi piace paragonare l’impegno annuale, al quale la Regione deve adempiere, al lavoro che attendeva, quasi annualmente, i sarti e le sarte di paese. Accanto al vestire quotidiano, vario e, spesse volte rattoppato alla meglio a seconda delle condizioni e possibilità di ciascuna famiglia,  non poteva mancare l’abito delle occasioni, il cosiddetto “vestito buono”.

Non saprei dire a quanti vestiti buoni si potesse aspirare nel corso di una vita semplice e avara, ma. pur nella limitatezza di risorse, è indubbio che ce ne fossero più di uno. Riferendoci agli anni dell’ infanzia e dell’adolescenza, non potevano mancare quelli per la prima comunione, quello per andare a sostenere gli esami di terza media, quello da indossare per gli esami di maturità, per la discussione della tesi di laurea e quello da matrimonio.

A contarli sembrerebbero tanti, a dir poco cinque o sei, ma già il primo vestito, quello della prima comunione, subito dopo la festa andava predisposto per essere tranquillamente riutilizzato.

E così accadeva che si attrezzassero sarte e sarti per fare il primo “dimesionamento”: adeguare l’abito, nelle dimensioni, a seconda, senz’altro, dell’intendimento e delle condizioni socio-economiche della famiglia che commissionava il lavoro. Così ci si intendeva sul tempo, sul come e, non meno importante, sul quanto sarebbe costato, sentito il sarto o la sarta, il lavoro e sul quanto permetteva di poter disporre la condizione economica della famiglia. L’obiettivo che metteva d’accordo tutti, famiglia, artigiani e ragazzi, era che gli adattamenti da fare sull’abito permettessero di conseguire precisi risultati: poter competere con gli altri, soddisfare genitori e parentado, rendere orgogliosi e soddisfatti gli operatori dell’intervento. Non esplicitamente detto, ma da tutti apprezzato era che quegli “adeguamenti” non apparissero, e assolutamente non fossero, rattoppi, pezze a colore collocate qua e la.

La nascita delle “Dirigenze scolastiche” ha inorgoglito tanti di noi: ci piaceva pensarci “manager”, manager dell’educativo, sovrintendenti della formazione scolastica. Cosa fa un manager? Quello che fa un uomo d’azione: studia lo status quo, valuta e separa i pro e i contro, il poco e il troppo, l’utile dall’inutile e dal superfluo e, poi, tira le somme, delinea l’ordine degli obiettivi finalizzati al traguardo: individua il da farsi per conseguire gli obiettivi A, B e C, l’occorrente in fatto di professionalità, qualifiche, strumenti, mezzi e materiale (tipologia di docenti, di collaboratori,  quantità e modalità del loro impiego…).

In teoria i Dirigenti scolastici (Dirigenti-Manager), dovendo avere il polso sullo “status” dei propri Istituti comprensivi, sarebbero potuto essere davvero le figure idonee  per operare, annualmente, la prima formulazione di ipotesi di un piano mirato a ridurre il disagio degli studenti, a realizzare il diritto all’apprendimento, a programmare un’offerta formativa sempre più funzionale ad una efficace azione didattico – educativa e, non di meno, ad ipotizzare e suggerire una proposta di adeguamento territoriale dell’esistente scolastico. In realtà si opera sulla base di disposizioni che chiamano in campo, con compiti specifici, Comuni,  Province  e Regione.

Le proposte delle Province, una volta sentito i Comuni e col parere dell’Ufficio Scolastico Regionale, vengono esaminate  a livello regionale. Dopo l’approvazione della delibera da parte della Regione, l’Ufficio Scolastico Regionale adotta il Decreto attuativo.

Scorrere l’iter che mira a calibrare l’abito-scuola al territorio è cosa semplice; nella realtà pensare che quell’iter possa garantire davvero una scuola a misura di territorio e di realtà locali non è altrettanto semplice e facile. Tantissimi anni fa esistevano le “scolette”, uniche, di montagna: un pugno di alunni, in zone impervie, guidate da un maestro che risiedeva, per tutto il periodo scolastico, lì, in montagna, proprio nello stesso agglomerato in cui risiedevano le famiglie degli alunni. Alcuni proprio nell’abitazione annessa alla scoletta. Perché? Per poter garantire, a quella piccola comunità, la regolarità del servizio scolastico. Scuole decentrate, diceva qualcuno, dispendio di energie magistrali asserivano  altri. Solo in pochi, però, sostenevano che, nella scoletta di montagna, si godeva di un servizio educativo garantito sempre e comunque. Garantito perché il maestro, obbligato a risiedere in loco, era egli stesso garanzia non solo di continuità didattica e di insegnamento, ma anche garanzia del servizio-scuola pur coi rigori dell’inverno, con le nevicate improvvise e non.

Il prodotto del “dimensionamento” ha fatto subito i conti coi numeri: cinque scolaresche di montagna, se trasportate al centro viciniore più grande, formano, a mala pena, un gruppo classe. Se ripartiamo, quegli alunni, tra le cinque classi funzionanti nel plesso ospitante, anch’esso di montagna, e inseriamo ciascun alunno nella classe che è tenuto a frequentare,  evitiamo spese inutili relative a cinque “scolette” e garantiamo maggiori e migliori possibilità di confronto socio-didattico, di insegnamento e apprendimento.

Detto così sembra vero. Poi, però, abbiamo cominciato a fare i conti con le spese per lo Scuolabus (manutenzione, gasolio, autista, assistente di viaggio, rischi di percorso…), quelle per la mensa scolastica e, non ultime, quelle per le supplenze crescenti e dovute alle le assenze, puntuali, del personale durante le nevicate, nelle brutte giornate invernali e in quelle connesse coi rischi della viabilità nelle giornate di bufera o forte pioggia.

Il Dimensionamento, come la politica, guarda i numeri e i numeri non sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze, adolescenti. I numeri sono cifre da sommare o sottrare. Però bambini e bambine, ragazzi, ragazze e adolescenti cresceranno e saranno elettori…! Ma tutto questo il “Dimensionamento” ancora non lo sa.

 

 

 

Nessun Commento

Inserisci un commento