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Il capitalismo è responsabilità?

Il Limite / 129

Il capitalismo è responsabilità?

di Raniero Regni 

 

E’ il tempo per insegnare l’umano all’umano, che non è solo una storia tra umani, ma tra l’uomo e tutto quello che non ha bisogno dell’uomo, ma di cui l’uomo ha bisogno”.

         R. F. Gauthier – Accademico di Francia

  Mi capita spesso di discutere con un amico economista e manager a proposito dell’attualità. La sua lettura è quella di chi lavora da sempre in una grande impresa multinazionale. Alle mie preoccupazioni per le insufficienze della politica ambientale, che pure condivide, egli replica spesso proponendo una visione etica, prima ancora che economica, del capitalismo. Se il comunismo e il socialismo sono bravi a distribuire (i soldi degli altri, aggiungerebbe lui), il capitalismo è più bravo a produrre ricchezza e beni. Questo perché, dice lui, “il capitalismo è responsabilità”. Che cosa vuol dire? Che il capitalismo propone un’antropologia da self made man, di chi si fa da solo, di chi grazie al duro lavoro si impone nel mercato, entra nel gioco della concorrenza che punisce i meno capaci e premia i più intelligenti e scaltri. Guarda con sufficienza chi non ce la fa. Come sostengono gli americani, ancora sotto l’influenza indiretta del protestantesimo, se sei povero una qualche colpa devi pur averla commessa!  Da qui anche la critica ovvia alla pigrizia del pubblico impiego, all’ assistenzialismo, allo statalismo.

La mia replica dice che in una società democratica, se le diseguaglianze diventano troppo grandi, se gli stipendi dei manager diventano sideralmente distanti da quelli dei lavoratori e degli impiegati, il rischio per la tenuta della società si fa grande. Cito Enrico Mattei che preferiva essere un imprenditore povero in un paese ricco piuttosto che un imprenditore ricco in un paese povero. Non è possibile ridurre la verità all’utile economico. E così via.

Ma il ragionamento che il capitalismo è fondamentalmente responsabilità trova un limite proprio nella tematica ambientale. Lo sviluppo capitalistico ha sempre considerato l’inquinamento una esternalità priva di valore. Quando si son cominciate a tassare le quote di Co2 emesse dalle industrie, nella prospettiva della de-carbonizzazione dell’economia, allora i danni ambientali hanno cominciato ad avere un prezzo e quindi ad essere presi in considerazione nei bilanci industriali. Ma questo con grandi difficoltà e cercando sempre di procrastinare e di limitare tale politica, addirittura creando un mercato delle quote di Co2. Il capitalismo si mostra assolutamente irresponsabile nei confronti dell’inquinamento e dei danni ambientali. Non ha alcuna intenzione di fare la transizione ecologica e qui la cecità del mercato nei confronti del medio e lungo termine, il suo fallimento è assolutamente evidente. Il capitalismo è responsabile solo nel breve periodo e risponde solo dei profitti degli azionisti che chiedono immediati dividendi e nient’altro. Dove è quindi la presunta superiorità morale del capitalismo? Nell’incolmabile debito ecologico che lascerà alle prossime generazioni? Nell’impossibile crescita e arricchimento illimitati in un ambiente finito?

Nessun denaro potrà mai comperare quello che non c’è più. Aria e acqua pulite, ambienti salubri e armoniosi. Questo è il limite posto dalle risorse finite della natura. L’economia può recuperare la saggezza nel momento in cui cercherà di guardare molto avanti e contribuire a dare vita ad una ecologia della mente, ad una economia ecologica riassumibile nella formula: pensare il doppio e consumare la metà.

Per fare questo avrà bisogno di una nuova educazione che sappia muoversi rispetto a quelle che sono state indicate come le tre urgenze dei sistemi educativi di oggi. L’urgenza della lotta alle fake news, l’urgenza climatica e l’urgenza sociale, urgenza dell’altro, da comprendere anziché distruggere.  Come ha detto l’accademico di Francia R. F. Gauthier al Festival dell’Educazione di Brescia, “è il tempo per insegnare l’umano all’umano, che non è solo una storia tra umani, ma tra l’uomo e tutto quello che non ha bisogno dell’uomo, ma di cui l’uomo ha bisogno”. Questa la nuova responsabilità a cui dovrebbe attenersi anche il sistema produttivo se non vuole essere complice e esecutore del disastro.

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