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Coscienza, incoscienza e malafede

 Il Limite /153

di Raniero Regni     

 

 “Io ho i figli che lavorano nel cementificio, di cui sono co-proprietario, e sono sicuro che da quelle ciminiere esce vapore acqueo”. Così ho sentito dire in un incontro pubblico nella mia città che, come sanno i lettori più affezionati di questa rubrica, ha un problema di inquinamento ambientale a causa di due cementifici che insistono su due centri abitati. In altra occasione, reagendo alle denunce documentate di pericolo, i proprietari di un altro cementificio hanno detto e scritto, “anche noi viviamo nella stessa città e respiriamo la stessa aria”.

In questi due casi il negazionismo appare stupefacente quando, per legge, queste due industrie insalubri di prima classe sono autorizzate ad emettere quintali di metalli pesanti nell’atmosfera e adesso anche centinaia di altre sostanze, visto che usano come co-combustibile centomila tonnellate di rifiuti, nelle quali nessuno sa che cosa contengano. Tanta apparente sicurezza deve essere spiegata. E per farlo ricorriamo alla psicologia.

Il cognitivismo ci dice come si formano i pre-giudizi, ovvero delle categorie molto resistenti con cui etichettiamo il mondo, le quali sono così forti che condizionano persino la percezione. Esempio: quel fumo è innocuo e allora non lo vedo neanche più. Sempre il cognitivismo ci spiega come si riduce la “dissonanza cognitiva”. Una volta che ho deciso di credere che bruciare rifiuti non è pericoloso cercherò sempre e soltanto tutte quelle informazioni che confermino questa idea e occulterò quelle che la smentiscono o fanno sorgere dei dubbi. La mia mente non sopporta due informazioni contrastanti e deve ridurre il loro contrasto a zero.

Questo a livello cosciente. C’è poi la psicoanalisi, la psicologia del profondo, che spiega molti comportamenti assurdi come una specie di autoinganno dovuto al fatto che il mio Io cosciente non è, come diceva Freud, “padrone in casa sua”. Esso ha a che fare con altre forze potenti di tipo inconscio, qualcuno che sta dentro di me e che io non controllo. Mento a me stesso o sono mentito dal mio inconscio. Ho delle resistenze interiori, dei meccanismi di difesa con cui cerco di nascondere a me stesso la verità. Una verità che non avrei la forza di accettare. Un concetto contraddittorio agisce in me ma non sono completamente io. È una terza persona che insidia l’io. Nel nostro caso, anche se inconsciamente posso avere dei dubbi che la mia attività possa arrecare danno alla salute e all’ambiente, lo ignoro, lo respingo nell’inconscio perché non riuscirei a sopportare il senso di colpa e non riuscirei a impegnarmi in un cambiamento.

Ma esiste anche un altro livello di analisi, molto sottile e molto persuasivo, elaborato in un famoso saggio dal filosofo francese J. P. Sartre: la malafede. Nel linguaggio ordinario diciamo di una persona che può aver sbagliato ma che era “in buona fede”. Cerchiamo di capire come mai sia accaduto e concediamo questa attenuante, “non lo sapeva”, “non era consapevole”, era in “buona fede”. Ovvero ha creduto in una cosa falsa ma, come avrebbe subito osservato un mio grande professore di filosofia della mia ormai lontana formazione universitaria, un formidabile ragionatore: sì, buona fede, ma non fede buona! Credere o credere di sapere la cosa sbagliata.

Secondo Sartre, la malafede, non è la menzogna. Infatti quest’ultima è per altri mentre la malafede è per sé. Nella menzogna c’è uno che inganna e un altro che viene ingannato, nella malafede sono la stessa persona. Io mi maschero la verità, mento a me stesso. È un velo che contemporaneamente vela e svela. Ma allora sono innocente? No, perché nella malafede è a me stesso che maschero la verità. Io devo sapere la verità per mascherarla completamente a me stesso.

Per Sartre però, l’essere umano non può mai essere sincero, perché è sempre colui che inganna e colui che viene ingannato. E se non proprio coessenziale alla condizione umana, è un rischio permanente. La malafede è fede. È una decisione di credere. Geniale uno degli esempi sartriani, quello relativo al corteggiamento di una giovane donna da parte di un uomo. La giovane sa e non sa che dietro le parole che parlano di ammirazione e fanno riferimento all’essere della persona c’è anche il desiderio amoroso. Quando il corteggiatore le prende la mano, quel contatto di due epidermidi viene percepito e, contemporaneamente negato, come se la stessa mano fosse un oggetto appartenente al mondo esterno e non alla persona, come se quel non ritrarre la mano non equivalesse ad accettare un flirt.

Si può sfuggire alla malafede? Sì, anche secondo Sartre, anche se il suo ragionamento non appare così coerente. Come? Attraverso la sincerità, la lucidità, l’autenticità. Essere autentico significa infatti sfuggire alla malafede, ovvero essersi interrogati davvero onestamente sulla verità di quello che si crede. La coscienza è sempre cosciente e riflessiva, si può auto-ingannare, ma alla fine, sa che si inganna. Anche in questo caso compare la nozione di limite. Respingo la coscienza mistificandola, non potendo o volendo riconoscere un limite. La coscienza autentica invece dovrebbe assumersi la responsabilità di non esporre, non solo ad un danno ma neanche ad un rischio, donne

incinta, bambini piccoli, giovani in fase di sviluppo. La coscienza dovrebbe impedire all’egoismo acquisitivo, all’interesse personale ed economico di decidere tutto nella vita.

Qualche autorevole studioso di sociologia ha sostenuto, con numerose ragioni, che mentire è indubbiamente fondamentale per l’interazione sociale: la verità sarebbe troppo dura da sopportare sempre e in ogni situazione. La menzogna è una delle modalità, direbbe A. Seligman, per gestire l’ambiguità e la contraddizione, ma c’è un limite. C’è in me un limite, un bisogno che io cerco di respingere attraverso la mistificazione. Ciò che implica evidentemente la coscienza è sempre coscienza del limite. Non posso rifiutare in assoluto il limite e allora lo traviso. La coscienza in malafede misconosce il limite. Non sa tutto fino in fondo, ma finge di saperlo e cerca di autoconvincersi, in malafede. È la certezza che però ha sempre paura della verità. Mette a tacere il dubbio, ma così facendo lo rafforza.

Torniamo al caso da cui sono partito. Non sono del tutto sicuro che l’inquinamento non faccia male ma lo metto a tacere. Intanto perché mi conviene, almeno sul piano economico. Ma il cittadino, l’esposto involontario al rischio di emissioni cancerogene potenzialmente letali, che cosa ha da dividere? E poi, se si è veramente convinti che le industrie insalubri non inquinano, perché allora fare di tutto per sottrarsi alla Valutazione di Impatto Ambientale? Spero che la coscienza di non arrecare danno agli altri prenda il sopravvento. Spero che il dubbio metta in crisi la falsa certezza, che penetri nella fortezza della malafede e la devasti, liberando la verità e la responsabilità.

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