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CASUALITA’ O CONTAGIO?

Il dubbio / 120

 CASUALITA’ O CONTAGIO?

di Enea Di Ianni

Negli anni 60, esattamente nel settembre del 1964, avviene il mio incontro con Monsignor Antonio Iannucci, Vescovo della Diocesi di Pescara-Penne. Una lettera a firma dello stesso vescovo, mi arriva dalla Fondazione “Fraternità Magistrale”, un Ente di cultura pedagogica per i maestri del Mezzogiorno d’Italia costituito nel 1961 mi invita, quale neo-diplomato “maestro”, a Civitaquana, per un momento formativo-culturale-magistrale dal 31 agosto al 12 settembre presso una struttura ex-conventuale. Un soggiorno di studio assolutamente gratuito per  un approccio, seminariale-intensivo, alla scoperta della dimensione magistrale: il senso dell’essere “maestro”..

  A Civitaquana arrivo nel tardo pomeriggio della domenica. Con me ho il necessario personale e, in aggiunta, la fisarmonica. Il responsabile dell’organizzazione, il maestro Rocco Giacintucci, rivelatosi poi esperto nel creare aggregazione, nel fornirmi, telefonicamente, le informazioni sul luogo e sulla tipologia dell’incontro, aveva aggiunto che  potevamo, anzi dovevamo, portare con noi eventuali strumenti musicali.

L’approccio con gli altri “invitati” al seminario fu facilitato proprio dal “maestro” Giacintucci Chi più, chi meno cercammo di apparire tranquilli e sorridenti, in verità eravamo presi tutti dalla stessa curiosità: il seminario, ovvero ciò che ci attendeva nei giorni a seguire.

Il dopo cena servì ad avvicinarci, a far sì che i canti diradassero la timidezza favorendo un clima di amicizia utile per i successivi incontri e scambi operativi nel lavorare insieme. Lavorare per che cosa? Per provare a pensare una scuola nuova e una didattica integrativa fondata sull’incontro e sulla condivisione anziché sulla chiusura e l’autoisolamento.

A questo sarebbe dovuto servire il seminario, ma anche a far incontrare noi, giovani maestri, provenienti dal “Mezzogiorno d’Italia” – con il meglio, allora, di Scuola Italiana Moderna: Angelo Colombo (“Papà Colombo”), Vittorino Chizzolini, Gino Di Rosa, Carlo Piantoni.

Perché? Sicuramente per farci fare gruppo, per spianare qualche persistente ruga di campanilismo regionale, ma anche per incoraggiarci ad uscire dal silenzio di una timidezza atavica e stimolarci nel dar vita a  vincoli amicali e culturali nuovi.

Il gruppo di Scuola Italiana Moderna voleva aiutarci a prendere coscienza, coinvolgendoci operativamente, di quanto potesse essere avvincente,  assorbente e interessante la “scuola del fare” rispetto a quella “del dire” e quanto intrigante potesse rivelarsi l’essere  “maestro” in siffatta scuola.  

Oggi, a mente serena e a distanza di tanto tempo, continuo ad apprezzare la grande capacità di Monsignor Iannucci nell’aver interpretato il “Sinite parvulos…” del Vangelo identificandolo, sicuramente, come impegno individuale e sociale che apre all’aver cura dell’infanzia in modo educativo e assolutamente privilegiato, ma, non di meno, apre ad un’altra cura,  indispensabile, che pur si deve avere, per i “maestri”, per coloro che si dedicheranno, professionalmente, all’educazione scolastica. Per farlo bene non si può trascurare la loro formazione, iniziale e continua.

Non è fuori moda parlare, oggi, del senso e dell’importanza della “vocazione”, quella spinta interiore che ti porta ad avvicinarti a qualcuno, ad appassionarti a qualcosa e a provare, una soddisfazione speciale.

Alla fine del seminario, a Civitaquana eravamo consapevoli tutti del bene che quelle giornate, pur dense di impegno, attività e confronto, ci avevano fatto. Alcuni di noi si confermarono nelle scelte già fatte e rafforzate, altri si sentirono in dubbio, qualcuno ebbe bisogno di ulteriore tempo per riflettere. Io mi innamorai dell’essere maestro. Sì, si era attivata in me la “curiosità didattica”, il piacere di essere curioso per rendere curiosi gli allievi[1] e seguii quell’amore senza tentennamenti, anzi rafforzandomi nel convincimento che fosse proprio la curiosità una delle competenze essenziali per i lavoratori tutti e, in particolare, per gli educatori e non solo del XXI secolo.[2]

Il 17 marzo del 1981, nel ventesimo anniversario della costituzione di “Fraternità Magistrale”,  mi sentii in dovere di far arrivare al Vescovo Antonio Iannucci, formalmente, com’era stato l’invito da me  ricevuto nell’agosto del ’64, la mia testimonianza della gratitudine come maestro[3]

Mentre scrivo ho, a lato, nel mio studio, ben incorniciato, il diploma di merito conferitomi dalla Fondazione “Fraternità Magistrale” relativo al Premio “Alfonso Postigione”, con medaglia d’oro,  ricevuto a Civitaquana, in quel 12 settembre del 1964. E’ a firma del Presidente, Antonio Iannucci, che reca a fianco, in basso, un pensiero davvero bello e mai dimenticato:

Altri semina, altri raccoglie. Noi seminiamo, la società raccoglie.

Dio premia. Nessuno dunque si sgomenti del tempo oscuro, che sembra minacciare rovine ai raccolti. Coloro che nella scuola lavorano sono  cooperatori di una impresa eterna, sempre uguale e sempre diversa, che mantiene accesa nella comunità la luce e che conserva nelle rovine la fede riparatrice

Mons. Antonio Iannucci

 


[1] Von Stumm S., Hell B., Chamorro-Premuzic T. (2011), «The hungry mind: [1] Von Stumm S., Hell B., Chamorro-Premuzic T. (2011), «The hungry mind: Intellectual curiosity is the third pillar of academic performance», Perspectives on Psychological Science6(6), 574-588. doi:10.1177/1745691611421204

[1] World Economic Forum (2016)New Vision for Education: Fostering Social and Emotional Learning through Technology, World Economic Forum, Ginevra.“

[3]Tra i segni che molto hanno inciso in me stesso, rintraccio limpronta della Fondazione Fraternità Magistrale, di quello che è stata per me, per me e per cento e cento altri ancora che qui non sono, ma pur vorrebbero esserci.Fraternità Magistrale ha significato per noi la prima concreta forma di solidarietà, la prima stretta di mano  una stretta di mano dolce, calorosa e decisa  al momento di andare, prima di muovere il passo verso un cammino che pareva infinito e, forse, lo era. Per quel cammino siamo andati e non ci siamo persi; tra le tante orme abbiamo inciso, in un palmo solo di terra, la nostra scrivendo così la storia del nostro passaggio. Nellandare portammo con noi leco di quegli ideali che la Fondazione seppe ispirarci; quelleco si è fatta, poi, voce, voce robusta e decisa che parla ad altre giovani vite.
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