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GLI OGGETTI  PARLANO?

Il dubbio / 116

GLI OGGETTI  PARLANO?   

di Enea Di Ianni

 Tante esperienze del nostro vivere speso rimangono associate a suoni, colori, odori, sapori. Come con le colonne sonore dei film che basta l’accenno ad una melodia per  riportare  alla mente il film e la storia che narra, così, altre volte, l’input a rivivere momenti trascorsi  (affetti, emozioni, accadimenti passati), può venire da qualcos’altro.

Rimettendo ordine nel ripostiglio di casa, il cosiddetto fondaco, sono tornati ad emergere oggetti usciti fuori dall’uso quotidiano, aggeggi  che la modernità dei nostri giorni ha reso superflui, ma l’affetto di chi, in qualche modo, ne ha fatto uso non ha avuto la forza di escluderli dalla memoria, né di buttarli al macero, magari tra il cosiddetto ”indifferenziato”.  Collocati, così, nell’angolo buio del ripostiglio e lasciati lì a giacere “sine die”, in un giorno di luglio sono tornati alla ribalta. Per noi adulti la sorpresa di quella ricomparsa si è subito arricchita, a livello immaginifico, di vita e storie di vita d’altri tempi e d’altra stagione, di quando, proprio quegli oggetti, rivestivano un ruolo, un’importanza e gli si riconosceva una indiscussa utilità.

Accanto a noi adulti, curiose e visibilmente sorprese, le due nipotine avide  e letteralmente vogliose di toccare e sapere cosa fossero e a che servivano. Curiosità legittime  per chi, come loro,  non le aveva  mai viste e le stava scoprendo ora. Nulla riesce a creare tanto imbarazzo in un adulto quanto la curiosità dei bimbi, curiosità che diventa un crescendo incalzante di domande dall’apparenza semplici e scontate, ma difficili per chi vuol provare a dare risposte non dico esaurienti, ma almeno convincenti.

Di fronte alla curiosità dei piccoli, di tutti i piccoli, le risposte non sono mai scontate e, men che meno, soddisfacenti a pieno; la lunga incalzante teoria di “Perché …?”, seguita da diversi imbarazzanti “..E come…?”…”, rende merito a quanti all’infanzia si dedicano e trascorrono tanta parte della loro vita professionale muovendosi, agilmente, proprio  immersi in questo mare di curiosità, nascenti e ricorrenti, che non possono rimanere insoddisfatte.

Di fronte ad uno “scaldino” da passeggio,  non è semplice far capire che c’è stato un tempo in cui le comodità di oggi non c’erano e che, al loro posto, c’era un forte senso dell’adattamento, dell’ingegnarsi a trovare accorgimenti, soluzioni possibili per problemi del momento. Potersi scaldare, fuori casa, in luoghi come le chiese, prive di camini ed altre forme di riscaldamento, non era necessità di poco conto. Grazie al bisogno che aguzza l’ingegno, gli artigiani di allora realizzarono dei piccoli contenitori per carboni accesi. Sì, carboni accessi e di un rosso brillante che, adagiati su una coltre di cenere e dalla stessa appena ricoperti, consentivano, tramite una griglia metallica che fungeva da coperchio, l’emanazione di calore verso l’alto, in direzione del manico, mobile, che serviva come presa per portarsi appresso quel tepore. Grazie allo scaldino presero vita, anche nei piccoli centri, le conventicole tra donne nei pressi delle chiese, soprattutto al termine delle funzioni importanti e che, pian piano, avviarono le passeggiate domenicali del dopo Messa e  prima pranzo. Impensabile quanta strada abbia percorso l’ingegno umano nel fare conquiste e, altrettanto impensabile, come noi ci si sia avvezzati a disfarci di tutto ciò che quel percorso documentava. Ogni tanto, però, torna a rivivere qualcosa ch’era già andato. Sì, oggi sono tornati di moda i dischi in vinile (78. 45 e 33 giri!), quelli che tanti hanno buttato via per fare spazio ad audiocassette, CD e pennette, al nuovo che avanza e sconvolge. Qualcuno dice che trattasi di “ritorni di fiamma” che non coinvolgono tutti, ma solo intenditori e amatori… Può essere?

Qualche tempo fa, percorrendo il centro storico di Sulmona e transitando per via Angelone, la parallela “Est” di Corso Ovidio, sono stato attratto dallo strano oggetto luminoso che fiancheggiava l’accesso al “Salone” del mio “Coiffeur”, un tempo semplicemente “Barbiere”. La novità mi ha sorpreso stimolando la memoria nel richiamare alla mente altri tempi, quando quel simbolo non era una rarità, ma la regola per comunicare ai passanti l’attività di barbiere comprendente taglio di capelli, acconciature per uomini, shampoo, frizione e, qualche volta, anche “pedicure e callista”. Mi sono congratulato col titolare dell’esercizio cecando di capire il perché di quel ritorno all’ antico. Già, perché? “Per più di una ragione…”, mi ha detto  Ezio. “Senz’altro per incuriosire i passanti, ma anche per ricordare a tanti, compresi i più giovani, che quel cilindro, ruotante e colorato, non è invenzione di oggi, ma viene da ieri l’altro. Serviva – e serve – ad indicare che lì a fianco c’è un barbiere/parrucchiere, un curatore della parte estetica ed esterna della testa, un artigiano-artista che, grazie alla personale preparazione e professionalità, riesce a trasformare le nostre chiome da così a così, proprio come l’effetto rotatorio del cilindro luminoso ci mostra continuamente nel passaggio da un colore all’altro”. Al mio silenzio, l’artista delle forbici ritiene di dover aggiungere qualcos’altro e lo fa: “Anche per ridare un po’ di luminosità a quest’angolo di città, ravvivarla un poco!”. Non ha torto il mio “coifferur”; considerato che, mentre scrivo, sono le 21:00 del 9 luglio,’ e le luci pubbliche non ancora si accendono. Lo faranno tra poco, ma nella brutta stagione le ore buie sono davvero pesanti e nel centro storico c’è davvero bisogno di chiarore e insegne che vivacizzino l’ambiente oltre che richiamare clienti. Che mestieri, barbiere e parrucchiere-a,  e che agenzie “Ansa” celata dentro quei “Saloon” alla buona! Dal barbiere e dal parrucchiere-a  si è sempre detto tutto di tutti e di tutte! Lì si sono gestite le curiosità di tanti e di tante che, poi, uscendo mostravano un sorriso rassicurante, soddisfatto senz’altro per il bello del taglio e dell’acconciatura, ma, soprattutto, per quanto, gratuitamente, “appurato”.

Perché dal barbiere e dalla parrucchiera ci si lascia andare alla “chiacchiera”? Perché si è così indifesi nella riservatezza? Mi verrebbe da dire perché chi lavora sulle nostre teste, forse senza saperlo e neppure conoscendo  Socrate e la sua arte della maieutica,  non solo sa come frizionarle, le teste, ma anche come abbassare le nostre difese. Il “coiffeur” e la “parrucchiera” non chiedono mai novità, anzi ce le danno tirandole fuori così, all’improvviso, quasi a caso, buttandole  lì come chicchi di grano a germogliare. “Hai saputo di…?” Noi ascoltiamo. E’ piacevole “appurare” mentre la testa, tra le dita amiche di lui o di lei, ci viene massaggiata con indicibile maestria e il benessere è tale da disporci  ricambiare il tutto con altro pettegolezzo in esclusiva… Col vento in poppa, spariamo, guardinghi, la nostra di chicca.  Quel punto Il baratto è bello che fatto: abbiamo appreso e, poi, fornito mercanzia al mercato del pettegolezzo, un mercato che vive del contributo di tutti e di ciascuno, un “do ut des” ben simboleggiato dal cilindro colorato dell’insegna da barbiere che, facendo ruotare sempre su se stesso il cilindro con i suoi colori (rosso, bianco e azzurro), sta quasi a significare il rimescolamento del tutto e del niente; del tutto che diventa niente e del niente che si fa tutto. In un baleno.

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