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”QUANDE SO’ NATE”

Abruzzesità / 95

           ”QUANDE SO’ NATA” 

                                                       di Antonio Di Giambattista

Una volta si nasceva in casa, ora non più o, almeno, quasi mai. Si nasceva in un ambiente familiare e il primo mondo che si mostrava al neonato era quello delle persone care che l’avrebbero, da allora in poi, accompagnato nei primi pianti e sorrisi, nei primi balbettii e passi, nei primi giochi.

Nessuno, anni fa, diceva ad una mamma in attesa in che giorno e in che ora ci sarebbe stato il lieto evento. Si azzardavano delle ipotesi: “…più o meno tra il tale e talaltro giorno… forse verso la fine del mese di… forse all’inizio di…

Erano altri tempi, altri usi, altri ,allora, aveva l’urgenza, oggi morbosa, di sapere, prima possibile, se si sarebbe trattato di maschietto o femminuccia. No, si confidava nella divina Provvidenza e… nella sorpresa, sì. Intanto si preparavano, prudentemente, corredini per maschietto e per femminuccia.

Una nascita era un dono, un grande dono, cercato e atteso: due braccia in più che si sarebbero aggiunte a quelle della famiglia e che sarebbero state d’aiuto nel lavoro, fuori e dentro casa. E non dice il vero il detto “Brutta nottata e figlia femmina!” che si è soliti riferire all’attesa del parto che si concludeva con la nascita di una bimba. C’era un altro detto che dava valore a quell’evento ed era il complimentarsi col papà della neonata perché la nascita della figlia femmina voleva dire assicurarsi il  “bastone per la vecchiaia”, avere in casa colei che l’avrebbe, un giorno, accudito e assistito.

Ieri, come oggi, la famiglia nessun bimbo o bimba se la sceglie; se la ritrova intorno così com’è, nel bene e nel male e non la può né cambiare né permutare, come si fa con le automobili.

“QUANDE SO’ NATE”, di Antonio Di Gianbattista, poeta e cantore di Altino, il paese dove è nato, è il ricordo, in versi, di quella notte: di quel 2 gennaio 1919. 

 

QUANDE SO’ NATE 

Ere ’na notta scure,saenza stelle:

’na notta cupe e bbrutte. La nenguente

ammantave campagne e casarelle

tra lu fischià  ggilate di lu vente.

 

Rèfele s’ammucchiave a li ruvelle,

crisceve a ore a ore la turmente:

ma, risveje, la fémmena cchiù bbelle

che po’ so’ cunisciute ere cuntente.

 

Ddu’di jinnare di lu ’diciannove,

vinte minute prime di le sette,

siconde juorne di ’n’atr’anne nòve;

 

tra scruocche di tirrìcine e sajette,

mamme (che sciabbindette addò si trove),

a lu monne, filice, mi mittette.

 

 QUANDO SONO NATO

 

Era una notte buia, senza stelle:

una notte cupa e brutta. Il nevicare

copriva campagna e casette

mentre il vento sibilava gelido.

 

Nelle stradine pendeva la neve dai tetti,

di ora in ora anche la tormenta aumentava;

ma, sveglia, la donna più bella

che ho conosciuto era contenta.

 

Due gennaio 1919,

venti minuti prima delle sette,

secondo giorno di un altro anno nuovo;

 

tra l’irrompere di tuoni e lampi,

mamma (che sia benedetta dov’è),

felice, mi metteva al mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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