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MACERIE E SALVEZZA. I SETTE PALAZZI CELESTI

Il Limite / 95

di Raniero Regni

Il terremoto spaventoso che si è abbattuto sulla Turchia e sulla Siria ha mostrato il volto distruttivo che la vita che anima la crosta terrestre può assumere per noi. Esperienze come queste avrebbero dovuto persuadere già da molto tempo gli esseri umani, e soprattutto quei governi e quelle organizzazioni che sono in guerra da anni, che dovremmo davvero fare la pace perché c’è una condizione umana che accomuna, per cui ciò che ci unisce è molto  più di ciò che ci divide. A partire proprio dalla nostra fragilità e finitudine.

Tutto ciò  che gli umani costruiscono è destinato a finire, solo l’amore può combattere questo destino. Probabilmente sono questi pensieri che mi ronzano in testa entrando nel gigantesco hangar Pirelli alla Bicocca di Milano. Quello che mi si presenta davanti è un’opera inquietante. Dal 2004 sono entrate a far parte dell’immaginario milanese sette torri alte dai 13 ai 19 metri, pesanti 90 tonnellate l’una, che campeggiano nel gigantesco antro nero dell’hangar Pirelli, dove un tempo si costruivano locomotive.

Tedesco nato nel 1945, l’autore di questa cosa (installazione?) difficile da definire, è Anselm Kiefer, uno dei massimi artisti contemporanei. Ha iniziato da bambino giocando tra le macerie delle città tedesche distrutte dalla guerra e il suo itinerario lo ha portato attraverso la grande cultura filosofica del suo paese, ad approdare infine alla tradizione mistica della Kabala ebraica. Il nome dell’opera è ispirata infatti al Libro dei Palazzi/santuari, un trattato ebraico del IV-V secolo d. C.. In esso si narra del cammino di iniziazione spirituale di chi si voglia avvicinare al cospetto di Dio. I nomi delle sette torri sono infatti altrettanti nomi della grandezza di Dio.

Titaniche, poderose, spettacolari, inquietanti, vertiginose, apparentemente instabili e pericolanti, sono realizzate in cemento armato con dei calchi di container, ma sono anche molto di più. Frammenti di vetro, piombo, cenere, materie organiche ne contornano la base. Mentre grandi libri di piombo semifusi, rovine, macerie, polvere tutt’intorno. Che cosa vuol dirci quest’opera di un artista tedesco che assume la Shoah come il male assoluto e se ne fa carico?

Come diceva R. Barthes, di fronte all’arte contemporanea noi non possiamo più contemplarla come faremmo con un dipinto di Raffaello o Piero della Francesca.  La contemplazione del bello, su cui i nostri occhi si posano e il nostro sguardo indugia, non può essere più l’atteggiamento di fronte ad un’opera come questa. Non è bella eppure ci tocca, ha molto da dirci. Forse ci parla della tendenza ambivalente dell’essere umano, distruttiva ed ascetica, barbara ed elevata, pericolosamente grandiosa.

Le torri vertiginose e inquietanti alludono al futuro precario e discutibile che stiamo costruendo. La loro gigantesca esteriorità rimanda ad una misteriosa profondità interiore. Che cosa dobbiamo fare: costruire arroganti torri che dimostrino la nostra potenza, ciminiere e grattacieli sempre più alti? Ma che resterà di loro? Le macerie?

Anche se fatte di cemento e ferro queste torri rimandano alle antiche ziggurat dei sumeri, alle piramidi in mattoni della Mesopotamia. Rimandano al sogno infranto di Babele che dovrebbe indurci all’umiltà. Dovremmo aspirare ad altezze ancora più grandi ma rimettendosi in una condizione di umiltà in cui Dio ci tiene nel palmo della sua mano. Dovremmo cercare il potere e la potenza oppure l’elevazione spirituale?

Se costruiremo delle abitazioni solo per noi finiremo sbriciolati come queste torri che sembrano aver subito un terremoto o un bombardamento o la semplice distruttività dei millenni trascorsi. Se invece costruiremo cattedrali interiori esse vivranno, noi vivremo e aiuteremo altri a vivere. In una nuova alleanza tra Cielo e Terra. La conoscenza-sapienza (Daad in ebraico), la scienza come possibilità di ascendere al divino, lasciando un mondo materiale in rovina.

Questi palazzi celesti dicono al tempo stesso di una ricerca sbagliata e autodistruttiva e, contemporaneamente, suggeriscono una via alternativa di salvezza. L’immenso spazio vuoto è incluso nell’opera. Sulle gigantesche pareti dell’hangar enormi quadri fatti di materie diverse completano l’opera. Al fondo dell’enorme spazio espositivo, c’è la tela più bella. Un quadro di molti metri quadrati che cita il famoso quadro del pittore romantico Caspar Friedrich, Viandante sul mare di nebbia. Questo viandante postmoderno contempla un orizzonte su cui compare un arcobaleno, tracciato con elementi organici, paglia, sabbia e semi di girasole, sui cui è possibile leggere i nomi di alcuni grandi filosofi scritti in corsivo. Il titolo: La linea della salvezza tedesca. Anche qui un grande pensiero che ci condanna, ma anche un grade pensiero che ci salva.

 

 

 

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