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CONTRAPPOSIZIONE O INTERAZIONE?

Il Dubbio / 92

                       CONTRAPPOSIZIONE O INTERAZIONE?

di Enea di Ianni

E’ una consuetudine consolidata, anzi lo è stata fino a tempi recenti, quella di operare  avendo di vista due possibilità, contrapposte. Così la catalogazione avveniva tra ricco e povero, buono e cattivo, bianco e nero, stupido e intelligente, onesto e disonesto maschio e femmina, primo e ultimo e via discorrendo.

D’altra parte anche la religione cattolica, nel Vangelo secondo Matteo (25,31-46), parla del grande giorno in cui il Signore “verrà nella sua gloria” e, dopo aver riunito tutte le genti, procederà alla separazione degli uni dagli altri, dei buoni dai cattivi, collocandoli, rispettivamente, alla sua destra e alla sua sinistra per poi premiare i primi col Paradiso e punire i secondi con l’Inferno.

La distinzione tra due categorie, i buoni e  i cattivi, i santi e i demoni sembrava verificabile nella quotidianità della vita e ad essa ha fatto riferimento la legge del taglione o “pena del taglio”: occhio per occhio, dente per dente. Il principio che la sorreggeva era quello di rendere al colpevole lo stesso danno, la stessa offesa ricevuta.

La codificazione più antica ci porta al Codice di Hammurabi che consentiva la possibilità reale alla persona che aveva subito un danno “intenzionale” di restituire lo stesso danno affinché provasse lo stesso dispiacere, la stessa privazione, la stessa umiliazione. Per l’omicidio la pena, ovviamente, era la morte. Però… Sì, c’era un “però”, una sorta di eccezione: qualora si fosse trattato  di omicidio nei confronti di uno schiavo, l’omicida avrebbe pagato solo un’ammenda corrispondente al prezzo-valore dello schiavo ucciso.

Il senso più stringente che si può attribuire alla “pena del taglio” è senz’altro quello di tendere a scongiurare fatti delittuosi tra umani, a valutare il rischio reale cui si andava incontro non solo giocando con la vita di un proprio simile, ma anche con tutto quello che a quell’uomo apparteneva e che a lui faceva riferimento. Non era, quella legge, una istigazione a vendicarsi, a farsi giustizia o vendetta da sé, semmai si proponeva l’opposto: frenare gli istinti cattivi, le tentazioni a delinquere proprio in vista delle dirette conseguenze derivanti dalla legge. Che fosse una legge ispirata alla dissuasione dal compiere atti e gesti sanciti come reati si evince anche dal fatto che la ritroviamo all’interno di due grandi religioni: nell’Islam (nell’Arabia maomettana come legge dell’ occhio per occhio, dente per dente ed anche come diya”, compensazione monetaria che doveva, però, essere formalmente condivisa e accettata dalla parte lesa) e nel Cristianesimo (“Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro” – Bibbia, libro del Levitico 24, 19-20-).

E’ sempre un discorso difficile quello che tenta di correlare pena e reato, offeso e offendente, vittima e colpevole. Negli anni in cui la povertà era una regola e la ricchezza un’eccezione, uno dei beni maggiori su cui le famiglie potevano contare per sentirsi un po’ meno povere era il possesso di un animale da soma, un asinello, un mulo spesso chiamati impropriamente “vetture”. La perdita di un tale bene faceva tanto male quanto la scomparsa di un affetto familiare. Perché? Perché quell’asinello, quel mulo intanto avevano un nome e si erano abituati ad esso tant’è che lo riconoscevano e riconoscevano anche la differenza di voce del padrone, della moglie, dei figli. Non solo avevano un nome, ma tante volte raccoglievano, in silenzio, le confidenze che il padrone o la padrona, o anche i figli, erano soliti fargli per alleggerirsi un poco di certi “pesi di testa” che turbavano la tranquillità non solo del singolo confidente, ma dell’intera casa. Serviva poco dire ai padroni che l’asino o il mulo non avevano l’intelligenza per poterli capire.Ci rimanevano male e la risposta era quasi sempre la stessa: “Ce l’avessero l’intelligenza del mio somaro certe persone che conosco io…!” Il valore affettivo di quel possesso era indicibile, la sua utilità enorme; era uno di casa pur dimorando nella stalla!

La legge quando deve pronunciarsi sul valore di un possesso, si muove sul concreto. Qualcuno distratto o forse un po’ brillo o solo preso dal suo cellulare mette fuori uso la tua macchina  parcheggiata in un’area di sosta.

La rende inutilizzabile. Quell’auto l’hai tenuta ch’era una bellezza: sempre linda, lucida, controllat

 

a dal tuo meccanico. Ha dieci anni di vita, ma non gliene dai nemmeno due. Stai sereno perché il tuo assicuratore saprà tutelarti e, oltretutto, i presenti sono pronti a testimoniare quanto è accaduto. Intanto non disponi più dell’automezzo, si riduce. nei giorni a seguire, la tua libertà e possibilità di movimento e con essa anche quella di sentirti libero e autonomo. Cerchi di distrarti pensando alle prime cose da fare dopo l’esito della pratica assicurativa e così inizi ad interessarti di alcuni modelli di auto confacenti al caso tuo. Inizi un nuovo piccolo sogno, te lo culli e lo carezzi tornando a guardare il modellino di utilitaria che stai considerando. E’ quando arrivi negli uffici della “tua” assicurazione per la definizione della pratica che ti accorgi dell’assurdità della proposta.

Valutata l’età dell’auto investita, i chilometri percorsi, lo stato di manutenzione, preso di tutto quello che può essere tenuto in considerazione, ti accorgi che la liquidazione che riceverai non ti consentirà mai più di riavere un automezzo non alla pari col tuo, ma neppure che ad essa si avvicini. E’ allora che avverti di essere davvero solo, fisicamente solo anche se in compagnia di una Compagnia assicurativa che, a norma di legge, sta applicando dei parametri “legali”.

Provi mentalmente a valutare la tua condizione: hai subito un danno da parte di altra persona che ha ammesso la colpa, sono intervenuti i tutori dell’ordine che hanno sanzionato le responsabilità, sei di fronte al liquidatore che, regole e codici alla mano, sta quantizzando le spettanze.

Tutto secondo norma, secondo legge: stai per ricevere una “compensazione” già contemplata  nell’Arabia maomettana: si chiamava diya” e, per poter essere applicata, richiedeva condivisione vera e reale da parte del soggetto leso. Interazione e non contrapposizione per tendere davvero e sempre alla “condivisione”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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