La memoria dei “paparazzi” di ieri è un po’ sbiadita, ma nei miei anni giovanili erano romantici personaggi della notte, celebrati nella “Dolce vita” con simpatia persino da Federico Fellini. Facevano parte del paesaggio, inesistente senza “paparazzi”, mitici eroi dell’obiettivo, sempre a caccia di celebrità, che facevano “notizia” o “scoop”. Ricordo una incantevole Anita Ekberg ospite della nostra città, bellissima e impossibile, mentre una notte tentava di scalare il muro di cinta dell’albergo Jolly, dove ora ha sede la Banca di Teramo/Castiglione M.Raimondo. Un’impresa rischiosa per la celebre diva, considerato il suo tasso alcolico. Ero lì con Beppe Monti, il più bravo “paparazzo” di quei tempi, quando da tutti i lati fotografò l’attrice ubriaca. Ma le foto non furono mai pubblicate, per autocensura, come si faceva allora. Né tentammo di vendere quelle immagini così imbarazzanti dell’attrice, in quegli anni all’apice della carriera. Quando la televisione non c’era le foto erano, più di oggi, indispensabili per quotidiani e rotocalchi, che facevano a gara per procurarsi immagini decisive per le vendite e le tirature, come per il successo e la bravura del cronista e del fotografo. Anche se il “mestieraccio”, a parte qualche scazzottata o testa rotta, aveva un suo stile. Numerose le vicende vissute con Beppe Monti, fotoreporter pronto a scattare e a fare il suo lavoro fino in fondo, senza considerare rischi e pericoli. Da ragazzo la poliomielite gli aveva procurato una seria invalidità ad un braccio, ma Beppe non conosceva limiti né ostacoli ed ogni volta dava il meglio di sé. Mi torna in mente un fatto sconvolgente degli anni ‘80, rivelatosi poi un “giallo” insoluto. Vittima il padre del noto ciclista Vito Taccone, barbaramente assassinato nelle campagne di Avezzano non si sa da chi e perché. Un mistero ancora fitto e persino dimenticato, a distanza di tanti anni. Da inviati di “Crimen”, allora gettonato rotocalco largamente diffuso, arrivammo in ritardo sul luogo del misfatto, quando il cadavere era stato già rimosso e trasferito in obitorio. Impossibile, perciò, la foto d’ambiente. Essenziale e tassativa, invece, per il nostro servizio. Ma l’intraprendente fotoreporter Beppe Monti, per fortuna, trovò subito il rimedio. Con perfetto cinismo professionale, convinse una ragazza che era nel gruppo dei curiosi a calarsi nella parte della vittima, ricostruendo la scena. Distesa per terra e ben coperta da un lenzuolo bianco avuto in prestito, consentì a Beppe una serie d’immagini sul teatro del delitto, che fecero contenta la direttrice del settimanale che retribuiva profumatamente i nostri servizi. Specie quando erano ben corredati di immagini.