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Economia e/o ecologia? Non ci sono pasti gratis

Il limite. Iniziamo oggi la rubrica che porta questo nome, perché dei limiti e della loro riscoperta parleremo sotto diverse forme. Nella Grecia antica esisteva una divinità che presiedeva al limite, era Nemesi, non la dea della vendetta, come si crede, ma della misura, “fatale agli smisurati”. Questo ci ha insegnato la saggezza greca ed anche il messaggio cristiano. Qualcuno ha scritto di recente, “Dio esiste e non sei tu, per cui rilassati”. Il limite e la misura, assieme all’umiltà, sono alcuni dei nomi della saggezza di cui noi oggi abbiamo assolutamente bisogno.

Veniamo ora al tema di oggi. Un tizio sta precipitando da un grattacielo. Mentre cade, riceve una telefonata: “come va?”. E lui risponde: ”per ora tutto bene”. Questa è più o meno la situazione in cui ci troviamo nei confronti della crisi ambientale, del riscaldamento globale, di una natura che torna ad essere selvaggia, imprevedibile e distruttiva come reazione all’azione umana sull’ambiente. La pandemia e la crisi sanitaria passeranno, ma quella ambientale rimarrà. E ci stiamo dirigendo verso la catastrofe a tutta velocità.

Chi denuncia da tempo questo è, genericamente, l’ecologia e i vari movimenti locali e globali dell’ambientalismo. Chi sembra indifferente a questa minaccia è, genericamente, l’economia chi si occupa di produzione e affari. La prima viene accusata dalla seconda di utopismo irrealistico, a cui contrappone il realismo di chi sa che tutto ha un costo e che non ci sono pasti gratis. Ma è appunto proprio questo che sostiene l’ecologia. Se non ci sono pasti gratis sul piano economico non ci sono, a maggior ragione, neanche in campo ecologico. Un litro di benzina proviene da 23 tonnellate di materia organica trasformata nel corso di un periodo di un milione di anni! Il realismo dell’economia appare per quello che è: fatalismo cinico.

Di fronte alla pressione dell’impronta ecologia la natura non ce la fa a rigenerarsi. Ci si accorge che il mercato è un ottimo servo ma un pessimo padrone. Quando lo si lascia senza controllo, diventa miope e fallisce, scaricando sull’ambiente le esternalità.

Circa cento anni fa, a cavallo della crisi del 1929, una gigantesca operazione di pedagogia sociale partita dagli Stati Uniti ha trasformato una società di risparmiatori in una società di consumatori. Il produttivismo e il consumismo sono nati nello stesso parto ed hanno puntato sullo sviluppo illimitato: di tutto e di più. Questa era la regola, in tutti i campi, in funzione dell’aumento del PIL. Oggi abbiamo capito che uno sviluppo illimitato in un ambiente finito è impossibile, chi lo crede, è stato detto, è un pazzo oppure un economista. Allora la soluzione va trovata…centralmente…, non nel compromesso falso dello sviluppo sostenibile, nel capitalismo verde, che spesso è poco più di un green washing di facciata, ma nella riscoperta del limite, nel cambiamento di paradigma, per tutti e per ognuno. È necessaria una nuova forma di educazione, una nuova pedagogia sociale fondata sulla sostenibilità. Occorre rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare, rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire. Di questo dovremo parlare ancora. 

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