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IL FUTURO TRA RAGIONE, PAURA E SAGGEZZA

Il Limite / 67

Il futuro tra ragione, paura e saggezza

di Raniero Regni

…Abbiamo le tecnologie per riconvertire il modo di vivere, ovvero di produrre e consumare, ci vuole una seria e condivisa azione politica ed un coerente piano di riforme per guidare la popolazione mondiale verso una forma di vita compatibile con la sopravvivenza della vita sul pianeta….

Torno sul rapporto tra razionalità e paura. Uno dei maestri del pensiero filosofico moderno, il pensatore seicentesco T. Hobbes, vissuto in un periodo di guerra civile in Inghilterra, aveva elaborato uno dei cardini del pensiero moderno. La sua argomentazione parte da un’antropologia pessimistica. L’essere umano è un essere egoista che invece di essere attratto dal bene è più efficacemente spaventato dal male. Non il sommum bonum, l’attrazione per il sommo bene, è ciò che unisce gli esseri umani, perché come era successo durante la guerra civile inglese che lui aveva vissuto, ogni fazione lottava per la sua idea politico-religiosa di bene in uno scontro sanguinoso e fratricida. 

Più sicuro è fondare la collaborazione tra gli esseri umani sul sommum malum, ovvero sulla più grande paura, che è quella di una morte violenta. Anche se questo testimonia a favore della povertà etica dell’essere umano, è solo la paura per la morte violenta, come il sommo pericolo, che può spingere gli esseri umani, a mantenere uniti gli stati, a rendere possibile la collaborazione tra esseri fondamentalmente egoisti.  

Oggi, in tempi non solo di competizione tra grandi potenze globali, ma anche di guerra guerreggiata, come osserva uno studioso molto ascoltato a livello internazionale, lo statunitense Ian Bremmer, la collaborazione tra competitori come USA e Cina sarà probabilmente possibile solo se ci sarà una minaccia così grande che potrà essere considerata come il “sommo male” per tutti. Un pericolo reale così grande e dalle conseguenze così violente da far impallidire la stessa guerra. Questo nuovo genere di minaccia già esiste, anche se ne sottovaluta ancora la portata, è la catastrofe climatico-ambientale. “Distruzione delle foreste, rischio di sparizione di isole tropicali per l’innalzamento dei mari, estati più calde – ha affermato lo studioso americano di geopolitica –  minacce che non ci sembravano troppo vicine o troppo gravi. A parte gli ambientalisti, pensavamo di risolvere tutto con il riciclaggio e, magari, diventando vegetariani per una settimana. Oggi il problema si è aggravato e la nostra percezione è cambiata: l’emergenza per alluvioni, siccità, incendi e altro è arrivata ovunque, in California come in India, in Texas come in Italia. Ora sappiamo che la temperatura del pianeta è già salita di 1,2 gradi e che se non freniamo questa crescita andremo incontro a una catastrofe climatica”. Di fronte a questi pericoli reali e che sono già qui anche i nemici dovranno collaborare. Purtroppo non sarà il desiderio di un mondo pacifico e collaborativo a spingere gli attori globali a collaborare e a rinunciare ad imporsi l’uno sull’altro, ma sarà la conoscenza certa di conseguenze paurose dell’azione umana collettiva a suggerire la prudenza e la rinuncia all’espansione. 

Ma chi scrive, che di professione si occupa di educazione ed ha a che fare con il meglio dell’umanità, ovvero i bambini e i giovani, non accetta questa pur realista posizione. Nella natura umana, non deviata dalla mala educazione, dalla pedagogia nera, dalla volontà di potere e denaro, esiste una spinta positiva verso la vita e la relazione empatica con tutto ciò che vive. La natura umana, sin dalla nascita, è centrata sulla relazione, è strutturalmente collaborativa. Il neonato umano, sin dall’inizio della vita non è una macchina che cerca di massimizzare il proprio piacere egocentrico, , strumentalizzando la madre, come sosteneva Freud, ma un essere che ha bisogno di amore che trova nella relazione con i genitori come un bisogno autonomo, non riducibile a quelli fisiologici di sopravvivenza egoistica. Chi scrive crede, ma anche sa, che la paura non è l’unica fonte dell’autolimitazione. La ragione può avere anche un’altra fonte che è il bene collettivo di tutti gli umani e di tutti i viventi. Se la tecnica, come pensiero centrato sulla volontà di potenza, è la vera minaccia, la tecnologia, riportata sotto il controllo dell’etica ed anche della politica, può rappresentare una soluzione. Abbiamo le tecnologie per riconvertire il modo di vivere, ovvero di produrre e consumare, ci vuole una seria e condivisa azione politica ed un coerente piano di riforme per guidare la popolazione mondiale verso una forma di vita compatibile con la sopravvivenza della vita sul pianeta. Ma anche questa azione non avrà successo se non avremo una forma adeguata di educazione al limite e all’autolimitazione volontaria, alla giustizia e al rispetto, alla fratellanza con gli umani e con i viventi non umani, un’etica della responsabilità planetaria. È su questo versante che gli educatori per professione, ovvero gli insegnanti, o per destino, ovvero i genitori, ma più in generale tutti gli adulti,  devono oggi impegnarsi a fondo. Un’educazione alla sostenibilità di ogni scelta individuale e collettiva, guidata da una saggia etica della responsabilità, diffusa da una vasta e comprensiva pedagogia sociale del limite. 

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