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VASSILIS LALIÒTIS “DI MANI E SCHIENA HA BISOGNO IL FUTURO DEL MONDO” 

“Di mani e schiena ha bisogno il futuro del mondo, non di queste cazzo di mie parole impotenti che diano una prospettiva di dignità a ciò che verrà.” Questa dichiarazione  evidenzia subito l’urgenza e l’impotenza percepite dall’autore nel comunicare attraverso la poesia, rispetto all’azione concreta necessaria per il futuro del mondo.

Un Fiume di Parole

Le parole di Laliòtis scorrono come un fiume in piena, nel cercare di contenere il fetore violento della quotidianità in decomposizione. La poesia di Laliòtis è potente e urgente, trascina con sé la durezza della vita, quasi con un’ansia di purificazione. Laliòtis non indulge in lirismi o intimità poetica, ma grida come uno che si lamenta dell’ingiustizia che lo circonda, con un linguaggio diretto e crudo.

La Lingua come Strumento di Resistenza

La decomposizione della lingua diventa per Laliòtis l’arma contro gli speculatori, i politici corrotti e le esecuzioni sommarie di piazza. La sua poesia denuncia la realtà con forza, descrivendo il degrado umano accanto alla crescita del guadagno, dove “i numeri dell’orologio digitale della borsa tendono ogni secondo verso la morte.”

Un Lavoro di Parola

A differenza di molti poeti contemporanei, in cui l’urgenza del messaggio prevale sulla cura della parola, per Laliòtis è la lingua stessa che rifiuta di essere semplificata a strumento utilitaristico. È un poeta che crea con le parole, trasformando la volgarità quotidiana in significato. La sua poesia è iperbolica e bulimica, riflette la società odierna.

Un Riscatto Vivente

Laliòtis è un poeta necessario, un strumento al servizio della lingua, una resistenza vivente. Attraverso la sua poesia, domanda al futuro un perdono, riconoscendo di essere stato condannato a vivere attraverso le parole. La sua poesia è un mezzo per ribattezzare e trasfigurare la realtà, offrendo dignità attraverso la maestria linguistica.

Le Difficoltà della Traduzione

La difficoltà di tradurre Laliòtis in italiano viene evidenziata da Massimiliano Damaggio che ne ha curato abilmente e professionalmente la traduzione, nel sottolineare come le peculiarità della lingua greca – con le sue inversioni sintattiche e le ricche possibilità di combinazione – si perdano nella traduzione, rendendo arduo mantenere la stessa potenza espressiva. Questo problema è accentuato dal fatto che termini e concetti greci portano con sé un senso di continuità storica e culturale che manca nella lingua italiana. Ad esempio, il termine greco “hybris” viene percepito in greco come un riferimento naturale ad un passato condiviso, mentre in italiano sarebbe restituito come una citazione dotta, perdendo il suo significato intrinseco. L’ utilizzo della lingua stessa come strumento di resistenza e riscatto distingue Laliòtis da molti altri poeti contemporanei, dove spesso l’urgenza del messaggio sovrasta l’arte della parola. In Laliòtis, è la lingua ad avere un’urgenza intrinseca, una necessità di preservare la propria complessità e bellezza contro la tendenza alla semplificazione utilitaristica. (R.P.)

Vassìlis Laliòtis (Βασίλης Λαλιώτης) è nato ad Amaliada, piccola cittadina peloponnesiaca dalle magnifiche spiagge, nel 1959. Ha studiato scienze politiche all’università ad Atene e spagnolo a Salamanca. Vive e lavora ad Atene. Collabora con numerosissimi periodici letterari. 

Poesia finale

Grecia me ne fotto del tuo stadio orale
cibo parole vomito e poesie laddove
tutto chiama il kalasnikov a cantare
per salvarci dalla condanna della scrittura
con la saggezza di Maria quando le mostrano
i bei scritti dei ragazzi: Abbiamo dato, e dato.
Non voglio poesie, non lascerò una sola parola
che sia di ostacolo al futuro di questi ragazzi
se non solamente un semplice canone dove la parola
abbia il valore dell’impegno oppure silenzio
lontano dalle bocche, le mani, il corpo
di mani e schiena ha bisogno il futuro del mondo
non di queste cazzo di mie parole impotenti
che diano una prospettiva di dignità a ciò che verrà.
Non leggetemi allora, non mancano le parole
andate via, lontano, non con il cibo e le parole
i vomiti e le poesie, ma con un minimo di atto
che finalmente alla vita per davvero ridoni vita.
Delle parole in poesia sono stato un condannato
per questo domando al vostro futuro perdono.

Tempo decaduto

I numeri dell’orologio digitale della borsa
tendono a ogni secondo verso la morte
laddove il guadagno cresce decrescono gli uomini
dicono un posto di lavoro sia la quarta conseguenza
d’alcune congiunture nel movimento del capitale
e che il lavoro faccia pure l’uomo e il capitale
ma ascolta il poeta e immagina giovane speculatore
davanti a uno schermo di computer appena
una linea di coca al naso dorato che
ti guarda dentro la morte tutt’intero con l’odio
dell’antico eunuco del panorama di Shakespeare
ma ascolta il poeta quando il tempo non ha più
la santità di dio o della rivoluzione
quando lo trascinano dentro loro i deragliati
ascolta il poeta che in fra la folla folla accetta
l’empietà della decomposizione sua per usura
poiché è l’interesse il Cristo in risurrezione
del protestante e ciò che dicono economia è
la religione dei numeri del protestante ascolta
il poeta che dice come angelo della morte d’un dio
impotente che in ciclo naturale muove la vita
seccamente come: Ogni marzo inizia una primavera.

L’estinzione di Franz Kappus

In nome tuo il secolo ha portato molti
orfani della semplice frase: Dio è morto…
mentre i poeti per istinto d’acqua si spoglierebbero
perché dai loro nomi si riveli il verbo
tu cercheresti nella strada opposta
una promessa per l’inclusione del nome
nella tua tiepida inclinazione alla poesia.
Quale ragazzo non ha scritto e non ha sofferto
non sperimentando il demone interno
ma rifuggendo verso semplici assicurazioni.
In nome tuo il secolo porterebbe molti
alla confusione fra poesia e biografia
ogni timoroso del proprio nome cancellato
lotterebbe per vincere l’oblio del tempo
e scrivere qualcosa per essere esistito
ora che non esiste più un nome rassicurante.

Non avrai nome, non ti riconosceranno,
non ci sarà verso tuo nella memoria di alcuno
l’estinzione del tuo nome sarà un manoscritto
e te ne resterai sempre con lo scambio
di essere tutti quegli anonimi accettati
che splendettero in poesia per causa tua
di essere lo sconosciuto cui Rilke spediva
le sue conosciutissime lettere a un poeta.

Il carceriere di Agamennone

Notte da cani e questo materasso fradicio
da fughe di sogni, sono stanco di aspettare
ero ragazzo e il tempo impietoso mi consuma
sola mia impresa metà secolo rubato soldato
di morte e metà governo non schierato
laddove si riempì di ladri, e dove davvero
stava nascosto tutto questo rettile di bulimia
fino al vomito coltivata da segretari politici
e giornalisti, maiali si spintonano intorno
alle banconote della corruzione buttate intorno
il tuo vicino l’omino innalzato al palco del potere
con la bandiera di un’anima al nylon, sono stanco
di vedere decadere le laringi ululanti
dei loro poeti intanto che reclamano diritti senza limiti
e a girare in cerchio le stelle intorno a me
due guerre di Troia è durato il banchetto
fetido degli affamati di briciole, sì,
e questo bue che mi schiaccia la lingua fino
al bavaglio del branco dei pubblici retori
l’ira antica e originaria il conseguente
epigramma vergogna della Grecia una volta ancora
sarò diretto: i miei padroni hanno giocato e ora
sono io che perdo e che devo pagare.

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