HomeLa RivistaINSEGNARE UN MESTIERE, NO?

INSEGNARE UN MESTIERE, NO?

Il Dubbio / 139

  INSEGNARE UN MESTIERE, NO?

di Enea Di Ianni

Tre fatti emergono, ormai, giornalmente e vanno sempre più irrobustendosi nei palinsesti radio-televisivi: il perdurare delle emergenze belliche e climatiche, le bizzarrie che toccano sempre più il mondo dello sport a livello mondiale e l’inneggiare, crescente, all’avanzare dell’intelligenza artificiale.

A dire il vero ce n’è ancora qualche altra: quella della presenza delle farine biologiche nei mercati europei e l’altra che, in ossequio al dio “Green”, stimola l’Europa ad erogare incentivi per la riduzione dell’agricoltura e degli allevamenti.

L’intelligenza artificiale è già operante tra noi umani e, considerata in sé, non è davvero il demonio o qualcosa da buttare al macero. Siamo così tanto presi  dal correre, dal guardare avanti proiettandoci sempre più in là che abbiamo quasi del tutto persa l’abitudine, salutare, di voltarci, ogni tanto,  indietro, per assaporare, almeno, un pizzico di soddisfazione contemplando il cammino  fatto dai tempi in cui Archimede pensò e immaginò la “leva” ripetendo a se stesso che gli sarebbe bastato un punto d’appoggio per sollevare il mondo.

Abbiamo corso tanto che il mondo siamo riusciti, è vero, a sollevarlo e di molto, ma proprio per aver sottovalutato il voltarci indietro, stiamo rischiando di annullare i tanti sollevamenti mandando tutto alla malora, rovinosamente a precipizio. L’intelligenza artificiale è già tra noi, la robotica non è più una novità e il suo valore è sperimentabile nella quotidianità della vita.

E’ giusto che si proceda nell’andare anche perché, giustamente, fatti non fummo “a  viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza[1] Temo, però, che voltandoci indietro, solo di poco, riusciamo ad accorgerci che qualcosa non va o, almeno, non va come dovrebbe andare. Nel nostro presente comincia ad essere mancante o, comunque, carente la manualità, quel fare che si chiama “mestiere” e che ha bisogno soprattutto del mettere le mani in pasta. La corsa alle nuove tecnologie va assorbendo il mondo scolastico proiettandolo verso un approccio sempre più digitale  e poco manuale.

Non serve davvero più allenare la manualità? Non ci sembra utile, oltre che necessario, considerata l’evoluzione che va interessando gli antichi mestieri, provare a conciliare, a rapportare insieme, manualità e digitale?

I ragazzi di oggi il digitale lo respirano e vivono nella quotidianità della vita perché tutto, intorno a loro, sa di digitale. Non hanno difficoltà a disporne  come meglio credono, il che vuol dire non solo padroneggiarlo, ma anche rischiare di rimanerne vittime.

Qualche giorno fa.dovevo far sostituire dal mio meccanocopuna lampadina delle luci posteriori di posizione e il suo ultimo, in ordine di tempo, ragazzo-apprendista, abilissimo nell’uso del cellulare, si è praticamente bloccato perché non capace di aprire l’alloggiamento della lampadina da sostituire. Ha provveduto a farlo il titolare dell’officina che, salutandomi, ha confermato il mio pensiero: abilissimo nel digitale, l’apprendista deve ancora allenarsi nella manualità ( esercitarsi nel mestiere, come si diceva un tempo).

E’ vero che tante cose sono cambiate e stanno cambiando nel mestiere dell’artigiano. Oggi serve saper usare il Web, conoscere l’inglese e, forse, anche il cinese, sapersi rapportare col cliente e col Fisco, ma è indispensabile anche allenare la manualità perché il mestiere, ogni mestiere, ha la sua “cassetta degli attrezzi” e gli attrezzi non vanno solo conosciuti nominalmente, tenuti in ordine e puliti, ma anche, all’occorrenza, saputi usare. E’ importante capire che anche oggi, per vivere, un mestiere serve, anzi è indispensabile.

La passione per il mestiere e la capacità di tramandarlo è uno dei fattori che ha reso grande l’economia del nostro Paese che oggi si sta cercando di recuperare. Anche acquisendo nuove mansioni altamente tecnologiche, come riparare un aeroplano…”[2]

Le crisi di cui solo oggi ci rendiamo davvero conto sono cominciate da ieri o, forse, già da ieri l’altro. Ma le crisi servono proprio come servono i mestieri. Infatti tutte le crisi, malgrado l’apparente e palese difficoltà che pur lasciano trasparire, sono occasioni importanti da non perdere perché dalle difficoltà e nelle difficoltà prende animo e si attiva la creatività. Creatività vuol dire inventiva, ricerca, scoperte, ipotesi, strategie d’azione. La nostra crisi si chiama anche mancanza di allenamento alla manualità ed eccessiva corsa verso altro.

Senza crisi non c’è sfida, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.  Senza sfide non c’è merito. E’ dalla crisi che emerge il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare di una crisi significa promuoverla, non parlarne  è  esaltare il conformismo” (Albert  Einstein).

Nell’anno scolastico 2024/2025 vedranno la luce i Licei del Made in Italy, frutto del disegno di legge approvato alla Camera il 7 dicembre e al Senato il 20 dello stesso mese. La finalità è quella di “…fornire competenze storico-giuridiche, artistiche, linguistiche, economiche e di mercato idonee alla promozione e alla valorizzazione dei singoli settori produttivi nazionali che tengano conto delle specifiche vocazioni dei territori”.

Gli studenti apprenderanno, in aggiunta alle “sigle” che già costellano il mondo scolastico, principi e strumenti per la gestione d’impresa, tecniche e strategie di mercato per le imprese del Made in Italy, ma anche gli strumenti per il supporto e lo sviluppo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese, sempre,  del Made in Italy

Insegnare un mestiere, no? Rendere nobile lo sporcarsi le mani, tanto abituale agli artigiani nostrani, non è proprio cosa da scuola? Eppure l’evoluzione dell’artigianato dovrebbe passare proprio per la scuola.

I mestieri e le professioni hanno bisogno di avere odori specifici propri , tali da poterli riconoscere a naso e non dalla targa all’ingresso. I sarti e le sartorie sapevano di stoffa e ferro da stiro, le falegnamerie e i falegnami di legno e colla pesce, il calzolaio di cuoio, pece e cromatina. Perfino i preti odoravano d’incenso e cera.

Chi ha vissuto quei luoghi non ha mai più dimenticato quegli odori: gli basta un ricordo, un tornarci col pensiero per riavvertirli di nuovo.

Di che odora, oggi, la Scuola?

                              [1] Alighieri Dante, Divina Commedia ,“Inferno” canto XXVI

                            [2] Gianluigi Da Rold, I SAGGI – Punto di fuga – “Un mestiere per vivere”, metodo di ASLAM,

Editore    “Fondazione per la sussidiarietà” anno 2017, p. 149.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                              [1] Alighieri Dante, Divina Commedia ,“Inferno” canto XXVI

                            [2] Gianluigi Da Rold, I SAGGI – Punto di fuga – “Un mestiere per vivere”, metodo di ASLAM,

Editore    “Fondazione per la sussidiarietà” anno 2017, p. 149.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessun Commento

Inserisci un commento