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POST-DEMOCRAZIA E QUESTIONI AMBIENTALI

 Il Limite / 137

POST-DEMOCRAZIA E QUESTIONI AMBIENTALI

La democrazia è l’essenza di ciò che vogliamo essere

C. Galli, Democrazia, ultimo atto? 

Da più parti e da più tempo, nel mondo occidentale, all’interno di quel Golden Billion, il “miliardo d’oro” (un ottavo dell’umanità che vive in regimi democratici), si sta parlando di crisi della democrazia. Una crisi interna ed un attacco esterno. Quest’ultimo è molto pericoloso e viene da regimi totalitari o “democrature” (democrazie dittatoriali o illiberali) come quelle al potere in Russia, Cina, Nord Corea, Iran, ecc. La loro politica oppressiva all’interno e aggressiva all’esterno, si pone sul piano militare, sul piano della disinformazione e menzogna sistematica ed è sotto gli occhi di tutti. Ma, per certi versi, questo pericolo, pur essendo più immediatamente minaccioso è meno insidioso, perché quei regimi non possiedono un grande appeal per chi vive nei paesi che godono del regime liberal-democratico (idea che sostiene anche A. Schiavone nella sua analisi del destino dell’Occidente). Nessuno di noi vorrebbe viverci e se lo facesse finirebbe male. Finirebbe sicuramente per essere imprigionato o perseguitato. In un certo senso, per quanto pericolosi, questi regimi assomigliano ai nemici di ieri.

Un pericolo più insidioso, perché viene dall’interno, è costituito invece da quella che da diversi anni è stata chiamata post-democrazia. La post-democrazia non è l’antidemocrazia come lo sono il Fascismo e il Comunismo (i nemici di ieri, appunto!), ma è una degenerazione o svuotamento della democrazia. Questo processo è iniziato con l’avvento della democrazia neoliberista negli anni ’80 del secolo scorso, che si pretendeva spoliticizzata ma era, in realtà, altamente politica. Riducendo la libertà all’utile, essa ha intaccato l’equilibrio tra libertà ed eguaglianza a favore della prima; ha demolito gran parte del welfare state a favore della privatizzazione, riducendo anche il ruolo imprenditoriale dello stato. In altre parole, il delicato equilibrio tra utilità privata e utilità pubblica è stato rotto tutto a favore della prima, e questo si è portato dietro l’aumento dei profitti da parte di pochi a scapito dei salari di molti. Il ceto medio, il ceto più vasto che sostiene la democrazia, è stato impoverito. Alla rappresentanza è subentrata la rappresentazione, cosicché la passività, la sfiducia e il disincanto hanno trasformato i cittadini sovrani in spettatori passivi.

La post-democrazia è caratterizzata dalla saldatura tra economia, politica e sistema mediatico. I concetti fondativi del regime democratico – libertà, eguaglianza e trasparenza – e le sue istituzioni fondamentali – centralità del parlamento e separazione dei poteri –, scrive il politologo C. Galli, vengono progressivamente svuotati, de-democratizzati. Dietro il permanere delle procedure sono all’opera nuove oligarchie post-democratiche che demoliscono l’autonomia della politica nei confronti del potere economico. La politica della democrazia liberista sta divorando se stessa e si avvia ad essere né democratica né liberale. Una democrazia S.p.A, come è stato scritto, che si realizza nella saldatura tra potere politico, interessi economici di grandi gruppi e sistema mediatico. Secondo questa versione liberista della democrazia, il capitale e il mercato sanno tutto quello che c’è da sapere, senza bisogno di sentirselo dire dalla politica. La razionalità del mercato vorrebbe imporsi sulla razionalità della democrazia.  Questa spoliticizzazione passa attraverso gli automatismi incontrollati del mercato. I cittadini, troppo impegnati nelle difficoltà economiche quotidiane, con salari bassi e con lavori precari e di cattiva qualità, troppo pressati dalla competizione economica, si astengono progressivamente dal voto. Isolati e sfiduciati si accendono in improvvise fiammate populiste e innamoramenti leaderistici, per poi ripiombare nella disaffezione e nell’astensione. L’aumento della ricchezza complessiva non va nei salari ma nei profitti di frazioni sempre più piccole di persone.

E le questioni ambientali? Il neoliberismo le ignora, le spoliticizza completamente sottovalutandole. Le ritiene questioni da intellettuali e da benestanti. Dopo la stagione della politicizzazione della cultura, il neoliberismo punta sulla spoliticizzazione della cultura con un’operazione che Galli descrive perfettamente: “la derubricazione del nesso politica-cultura a ideologia (e questa a menzogna tout court) è stata una vittoria del neoliberismo e della sua ideologia (questa sì) tecnocratica”. La sinistra, di contro, le esaspera, considerandole questioni universali che coinvolgono l’intera umanità in modo indeterminato, ma non riesce ad inquadrarle politicamente in maniera coerente.

Le questioni ambientali fanno parte della politica dell’emergenza, ovvero la politica emergenziale. L’emergenza non è un’emergenza ma è lo stato continuo, non è l’eccezione ma la regola, non è lo stato di eccezione. L’emergenza può essere usata politicamente in senso autoritario, mentre dovrebbe proprio servire a far emergere una politica ambientale coerente che faccia fronte al problema  ambientale con scelte sistemiche e strutturali.

La politicizzazione estrinseca dell’ecologia porta molte imprese ad aderire a campagne ecologiste che fanno bene al business aziendale e non contribuiscono affatto alla redistribuzione della ricchezza né alla salute dell’ambiente. È questa la spoliticizzazione liberista.

L’ambientalismo, che si riferisce alla società civile e ai suoi corpi intermedi, contribuisce al dibattito e alla critica, ma non riesce a fare breccia nelle istituzioni trasformandosi, almeno nel nostro paese, in istituzione politica, ovvero partiti. Certo, contribuisce a quell’elemento indispensabile alla democrazia che è lo spirito critico. La democrazia ha bisogno di consenso sulle procedure e di valori, ma anche di dissenso sulle scelte politiche. Si nutre di conflitto civile, materiale e ideale, sui mezzi e sui modi della civile convivenza.

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