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MONTESSORI IN MESSICO. NOTE A MARGINE DI UN CONVEGNO

 Il Limite /149

Montessori in Messico. Note a margine di un convegno 

di Raniero Regni

 

È la seconda volta che vengo in questo immenso paese in cui ci sono tre fusi orari e il cui confine con gli Stati Uniti, che qualcuno voleva chiudere con un muro per evitare l’immigrazione clandestina, è lungo più di tremila chilometri. Grande nello spazio geografico e profondo nella storia e nella cultura. Tanti popoli e tante etnie mescolate ma ancora distinte. Le vedi nelle strade e nei mercati, nei magnifici prodotti di un artigianato ancora autentico e multiforme.

Il Messico, come tutta l’America latina, è stato soggetto di tante migrazioni, Martìn Caparròs, lo scrittore-giornalista il cui libro mi porto dietro come un’introduzione al Messico, ne elenca cinque. La prima è quella preistorica che ha portato alla colonizzazione del continente americano da nord a sud, quando alcuni cacciatori nomadi attraversarono lo stretto di Bering ghiacciato che poi venne sommerso dopo la fine dell’ultima glaciazione. Per tanti millenni l’America rimase isolata. Poi arrivarono quelle navi, quelle di Colombo e cominciò la colonizzazione ispanico-portoghese, il genocidio dei conquistadores. Poi arrivarono, in una terza ondata, gli schiavi catturati in Africa e trasportatati in centro e sud America per coltivare le piantaggini che gli Indios, decimati dalle malattie e dallo sfruttamento, non erano più in grado di coltivare. Poi c‘è stata la quarta ondata ed è quella avvenuta nel ‘900, quando sono arrivati gli europei in cerca di fortuna, come mio zio sbarcato a venti anni in Venezuela nel 1953. Queste ondate sono state tutte di immigrati che da fuori sono arrivati in America. Adesso c’è una quinta ondata ed è quella di chi se ne vuole andare dalla povertà, dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla diseguaglianza. Non più gente che arriva ma gente che se ne va, negli USA oppure in mezzo mondo, a cercare una condizione di vita migliore. E l’emigrazione è una forma di protesta e di resa, la constatazione che nel mio paese non posso più fare niente.

Ma nel mio viaggio assisto invece ad una nuova ondata, diversa da tutte quelle a cui ho accennato. È l’ondata di diffusione delle scuole Montessori in Messico. Diversi i centri di formazione che abilitano inseganti che poi aprono scuole in tanti luoghi del paese. Incontro più di seicento educatori, più altri duecento collegati on line, che provengono da tutto il Messico per partecipare a Pachuca al 29 congresso dell’Associazione AMI Mexico. Sono giovani donne e uomini, allegri e disponibili, impegnati nel creare condizioni di vita e di educazione per i bambini messicani del nido, della scuola dell’infanzia e di quella elementare. Parlo a loro e parlo con loro. Sono pieni di entusiasmo. Visito delle bellissime scuole che hanno un solo limite, sono scuole private a cui si può accedere solo pagando rette piuttosto alte. Nonostante le borse di studio e altri accorgimenti per permettere a tutti di scegliere una scuola Montessori, i privilegiati, che hanno risorse cercano il meglio per i loro figli, si possono permettere le scuole migliori.

È uno strano destino quello delle scuole Montessori, non solo in Messico ma anche in altri paesi del mondo. L’esperimento montessoriano era nato nel 1907 nel quartiere più povero di Roma da un incontro straordinario tra chi soffre e chi sa. Montessori è una forma di nobiltà dello spirito nata nella miseria di S. Lorenzo. Poi, in molti paesi è finita per diventare la scuola dei ceti privilegiati. Eppure nel congresso di Pachuca vengono presentati i report di progetti educativi montessoriani che si vanno realizzando nelle carceri, per assistere i figli delle carcerate. e nei quartieri più poveri e degradati. È bello vedere questi straordinari educatori montessoriani impegnati per offrire il meglio a quei bambini e quelle bambine meno fortunati e meno fortunate.

Quando, nel mio intervento, sostengo che il messaggio di Montessori è uno dei più potenti messaggi di salvezza per l’intera umanità sento la sala che vibra per l’emozione. Riscopro, ancora una volta, che aveva ragione lei: “la politica può al massimo evitare la guerra, solo l’educazione può costruire la pace”.

È con questa certezza che lascio la città di Pachuca, con il suo bellissimo auditorium dove si è svolta la Conferenza. Sullo sfondo vedo ancora una volta il museo del calcio, il più importante del Messico, fatto a forma di pallone, che è qui non a caso perché qui è nata la prima squadra di calcio messicana.

Una certezza mi accompagna. Se ci sono tante persone così entusiaste, capaci e generose c’è ancora da sperare per il nostro futuro.

 

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