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  C’E’ ANCORA IL NATALE?

Il Dubbio / 135

 C’E’ ANCORA IL NATALE?

di Enea Di Ianni

Non c’è dubbio che il calendario liturgico confermi, anche quest’anno,  che lunedì 25 dicembre è stato  ancora una volta, Natale, il giorno della nascita del Bambinello Gesù.

Il luccichio di tani addobbi, a volerli leggere solo superficialmente, testimoniano che sono tante le case che, per l’occasione, si tingono dei colori della felicità e della gioia, della voglia di vivere e sperare.

Colori diversi, sfavillanti, “accennarelli”, rigorosamente rispettosi della libertà di scelta di chi li colloca su balconi e davanzali, su finestre, cancellate, stipiti di portoni e, soprattutto, su alberi.

Basta guardarli per sentire un pizzicore al cuore, una sorta di tenera malinconia che ti sospinge, dolcemente,  a scivolare tra ricordi andati e che, tornando, riportano altri momenti, altri colori, altri Natali e, soprattutto, a volti di persone  che  la vita ci ha permesso di incrociare nel quotidiano e che, poi, si son fatti, con ruoli e modi diversi, davvero compagni di avventura e di vita. Lo sfavillio di luci natalizie li riporta tutti, proprio tutti, a memoria e le sembianze son quelle a noi note.

Per ogni volto che sfila una riflessione che scuote, turba e lascia, comunque,  un poco di agrodolce in bocca.  E’ l’agrodolce della nostalgia che si alimenta della coscienza di qualcosa che è passato e della voglia che possa tornare ad esserci ancora.

Il senso del Natale certamente non sono le luci e nemmeno gli addobbi; eppure lì dove una casa ne è priva la tenerezza si fa tristezza, sapore di grigio sbiadito. Quella tinta, chissà perché, mi ha sempre fatto pensare alla “Piccola fiammiferaia”, di Andersen, alla sua povertà e al freddo di quell’ultimo giorno dell’anno…

Era l’ultimo giorno dell’anno: faceva molto freddo e cominciava a nevicare. Una povera bambina camminava per la strada con la testa e i piedi nudi…”

Sì, a piedi nudi perché  le vecchie pantofole della mamma, quelle che aveva messo ai piedi uscendo di casa, erano finite una in “un canaletto di scolo dell’acqua” e l’altra  le “…era stata portata via da un monello .” [1]

Ad ogni Natale mi torna alla mente l’aula di una piccola scuola di paese, in un lindo edificio e noi, gli scolari di allora, attentissimi per non perderci nemmeno una parola di quella storia, nulla delle visioni che prendono corpo all’accensione dei fiammiferi. Già, i fiammiferi…, anch’essi usciti fuori dalla quotidianità di un tempo forse proprio come la  storia di quella bimba povera e sola, senza più la mamma, che prova a sopravvivere vendendo fiammiferi ai passanti.

Poco importa se il bagliore di uno di essi dura solamente pochi istanti, importa, invece e assai di più, il tepore affettivo che, dal nostro intimo torna a riaffiorare immaginandoli uno ad uno.

Nel tempo mi sono confermato nel convincimento che davvero siano bastanti piccole scintille per accendere, soprattutto nei bimbi, l’amore per la vita, per gli affetti, per la natura, per le tradizioni.

A differenza degli adulti, i bimbi continuano a venire al mondo non contaminati dalle nostre idiozie, dalle nostre fisime, dalle nostre crescenti manie. E’ per questo che, ancora una volta, in questi giorni il fermento che annuncia il Natale e trova, sempre, calorosa accoglienza nelle scuole dei più piccoli, si è reso protagonista, all’esterno dello spazio prettamente scolastico, di diversi momenti di creatività contagiante e coinvolgendo, insieme, bimbi, educatori, genitori e comunità. La genuinità spontanea dell’età infantile non ha impedito a bimbi e bimbe di tenere a bada l’ansia dei grandi e la loro commozione.

Sì, perché i grandi si commuovono ancora: non sono riusciti ad averla vinta su quello strano sentimento che, quando provi a frenarlo, ti agita il labbro e inumidisce l’occhio. E’ stato così anche quest’anno, a Sulmona, lungo il tratto di corso Ovidio che dalla Rotonda di San Francesco della Scarpa conduce al plateatico dell’Annunziata, passando per Piazza XX Settembre.

Tre momenti per rivivere  l’Annunciazione a Maria, il tragitto da Nazareth a Betlemme, la santa notte.  Credo che il pubblico di adulti abbia pensato, con parole diverse, lo stesso desiderio della poetessa Merini: “Non crescere, bambino, / generoso poeta / che un giorno tutti chiameranno Gesù. / Per ora sei soltanto / un magico bambino / che ride della vita / e non sa mentire.”[2]

In tanti, ricercando nei volti delle  Madonnine, dei San Giuseppe, degli angioletti e dei pastori, dei magi e degli zampognari avranno pensato di fermare il tempo e trattenere il suo bimbo o la sua bimba il più a lungo possibile, al riparo da un mondo che non sa proprio d’amore. Non tutto e non tanto d’amore come il Bambinello sognava.

Non crescere, bambino…” si legge negli occhi, umidi, di tante mamme e papà, di tante nonne e nonni, di tanta brava gente. .. Tutti, però, sanno che cresceranno, ed anche in fretta, cresceranno per ritrovarsi, faccia a faccia, con la vita che non è più quella sognata dal Bambinello in quella santa  notte perché     Anche con Cristo, e sono venti secoli,  il fratello si scaglia sul fratello.

       Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino

       che morirà in croce fra due ladri?”[3]

Forse, può darsi. Però bisogna sperare e credere, perché Natale sarà sempre Natale finché ci saranno bimbi e bimbe.

                       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[2]

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