Nel mondo della poesia contemporanea, il nome di Durs Grünbein si erge come una figura enigmatica, capace di tessere legami sorprendenti tra il sapere scientifico e l’erudizione umanistica. La sua ultima raccolta, “Schiuma di quanti,” tradotta con maestria da Anna Mari Carpi e pubblicata da Einaudi, offre uno sguardo penetrante sulla complessità della vita moderna, dove emerge la propensione di Grünbein ad esplorare territori inesplorati, a interrogarsi sulle connessioni tra l’eros e la resistenza nella vita di tutti i giorni. La sua poetica, avvolta nella tensione tra il lirico e il filosofico, rivela una sensibilità unica nel delineare i contorni di una realtà sfuggente.
Le associazioni mentali di Grünbein svelano un gioco senza limiti spazio-temporali, nello sfidare il lettore a riflettere sulla sua stessa esistenza. La citazione provocatoria dell’odi et amo di Catullo mette in discussione la capacità della società contemporanea di gestire le passioni, di andare oltre gli impulsi insensati che spesso si manifestano in una realtà sempre più omologata e impersonale.
La poesia di Grünbein si fa specchio delle strade che ribollono, dell’asfalto che cuoce d’estate. Attraverso le sue parole, emergono le sfide e le contraddizioni di un mondo sospeso tra la frenesia e l’apatia, tra l’eccesso e la mancanza di significato. La sua capacità di incanalare la complessità della vita quotidiana in versi intensi e penetranti rende la sua opera un’esperienza poetica unica.
Durs Grünbein si conferma come un poeta che sfida i confini della forma e del significato. La sua poesia si insinua nei recessi più profondi della mente, provocando riflessioni sulla natura dell’esistenza umana. In un mondo in cui le certezze sono scosse, Grünbein offre un viaggio poetico che abbraccia l’incertezza e la complessità, portando i lettori a esplorare il labirinto della vita contemporanea attraverso la lente acuta della sua poesia. (R.P.)
Mestruo
Che esistenze effimere siamo. Dopo di noi
ritornano subito vuoti i luoghi della nostra comparsa,
come se non avessimo mai vissuto.
Per esempio noi due,
che dopo l’amore lasciammo la stanza, sappiamo:
il letto con le macchie di mestruo
potrebbe ricordare chiunque. Cosa deve succedere,
stupri, omicidi, un delitto anonimo –
perché si analizzi il sangue in laboratorio, dal cuscino
si prelevino campioni di pelle e di capelli.
E che cosa cambierebbe?
Noi non ci siamo più.
Resta con me, mi stai sentendo?
Ti prego, resta con me. Altrimenti non riesco a sopportare:
l’inferno del terrore quotidiano, il trionfo
di questa economia di scambi che rende tutto ingannevole,
trasforma ogni cosa in un prodotto,
di ogni luogo fa un deserto.
Psiche in moto
Vengono giorni in cui sola salvezza è mescolarsi
al profluvio di gente che riempie le strade fino all’orlo.
Camminare, camminare – avido di volti come sei,
aprire un varco nella densità del traffico.
La città: reparto psichiatria a porte aperte. In incognito
porti ciò che solo tu puoi portare, il carico
della tua psiche. Piacevole sensazione di vuoto.
Ci sei, non ci sei – tu, come chiunque altro.
La solitudine era materia condivisa
e dai tempi della scuola somma insidia: matematica.
L’esercizio di rendersi invisibile,
crudele addestramento che guariva ogni baldanza.
Il rimedio: camminare, camminare. Partiva dal cervello, dalla nuca,
il moto attraverso la città in gironi concentrici.