HomeCulturaartiSIMONETTA SECCI “BON A’ TIRER”- PALAZZINA LIBERTY COMUNE DI SEUI

SIMONETTA SECCI “BON A’ TIRER”- PALAZZINA LIBERTY COMUNE DI SEUI

Il sistema museale di Seui, in Italia nella provincia del Sud Sardegna , offre una varietà di luoghi di interesse culturale e storico che rappresentano le tradizioni e la storia della zona. Ecco una breve panoramica di questi musei:

Casa Farci: Inaugurata nel 2003, questa casa ospita una selezione di oggetti legati all’autore e saggista omonimo del XX secolo. Oltre a ciò, espone anche oggetti relativi alla tradizione locale, al commercio, all’agricoltura, alla produzione del vino, alla pastorizia, alle arti e ai mestieri, nonché all’emigrazione. Questi oggetti testimoniano le tradizioni popolari e la storia culturale della zona.

Ex Carcere Spagnolo: Questo luogo storico offre una visione delle condizioni di vita carceraria nel passato. I visitatori possono esplorare le stanze delle torture, gli ambienti comuni, le celle maschili e femminili e le piccole celle di rigore. Questo museo offre un’opportunità di comprendere la storia carceraria della regione.

Pinacoteca: Situata nella sede storica del municipio, che risale al 1850, questa pinacoteca espone tele seicentesche e opere d’arte moderna e contemporanea. È un luogo ideale per ammirare l’evoluzione dell’arte nella regione nel corso dei secoli.

Antiquarium Ecclesiastico: Questo museo, allestito nel salone parrocchiale, contiene pregevoli oggetti legati alla sfera ecclesiastica, come statue lignee, arredi sacri, testi e documenti. Offre un’opportunità di esplorare la storia religiosa della zona.

Palazzina Liberty: Questo edificio risalente al 1905, precedentemente sede di una società mineraria, ospita una collezione di reperti archeologici e oggetti legati alla tradizione notarile, civica, antropologica e mineraria. Questi oggetti documentano la storia della regione e la sua connessione con l’attività mineraria.

In questo contesto architettonico l’Amministrazione Comunale ha allestito lamostra ” Bon a tirer”, dell’artista Simonetta Secci, curata dal critico e storico  dell’arte dell’arte Mariolina Cosseddu di cui pubblichiamo il testo critico. ( R.P.)

Simonetta SecciBON A’ TIRER”
a cura di Mariolina Cosseddu 

Ecco la delicata cavalletta, Cibo di san Giovanni. Possano i miei versi essere come lei, il festino delle anime elette. 

G. Apollinaire 

Simonetta Secci si misura, a distanza di anni, con un corpus di opere nate dalla lettura del bestiario semiserio di Guillaume Apollinaire, pubblicato nel 1911 con le illustrazioni di Raoul Dufy. 

           

Un ritorno che suona come una riflessione approfondita nel tempo, intanto che mostra la sorprendente attualità di un inventario di creature del mondo animale tradotte in raffinate incisioni colorate. Se per Apollinaire quelle creature sono di fatto allegoria morale dell’agire umano, nelle incisioni di Simonetta Secci diventano protagoniste di un universo sorprendente dove segno e colore si intrecciano in un prezioso bozzolo grafico. Realizzate a puntasecca con interventi cromatici dati a bande luminose, le composizioni vivono nella suggestione offerta dalla presenza di una forma riconoscibile (una farfalla, un coniglio, un leone, una capra tracciati con mano sicura eppure leggera ed evocativa) proiettata nella dimensione lirica e atemporale dell’astrazione coloristica. Il segno delicato e flessibile delinea movimenti decisi che animano le superfici mentre sono impegnate in un gioco di filamenti tra la presenza dell’animale e una leggera e mobile intelaiatura protettiva. Sembra così preservare l’immagine dalla sua scomparsa tra gli umani, in una sorta di arca di Noè per un futuro prossimo a venire. In realtà questi lavori ci appaiono come piccole odi di un mondo vicino ma trascurato, da leggere come una sensibilissima visione di esseri bisognosi di sguardi partecipi, elaborato in un sorprendente gioco di armonie ed equilibri. D’altra parte Simonetta Secci ha alle spalle una lunga familiarità con le pratiche incisorie, esercitate fin da giovanissima e sottoposte, nel tempo, a sperimentazioni singolari quanto seduttive. 

In particolare la puntasecca le consente di ottenere soluzioni morbide e rarefatte, in una scrittura visiva dinamica e poetica, come le liriche da cui trae ispirazione. Afferma così un proprio linguaggio di intensa e controllata emozione, di cura calligrafica per i dettagli e la resa complessiva del tutto. L’intervento successivo del colore conferisce alle piccole forme di questo emozionante bestiario, una visionarietà onirica, una suggestione che travalica il dato visivo per spingerci nelle regioni dell’immaginario. Simonetta Secci piega così la sua abilità manuale alle sollecitazioni del grande poeta ma segue una propria traiettoria mentale e ingabbia i segni naturalistici (la presenza dell’animale) e geometrici (le linee che fioriscono come esplosioni grafiche) in spazi di colore pieno e saturo che annullano qualsiasi lettura in chiave illustrativa. Più vicine alle miniature fantastiche medievali che ai bestiari cinquecenteschi, le opere si leggono come allegorie atemporali del regno animale in grado di fornire risposte ad una cultura sempre più effimera e inconsistente. 

Completano la mostra le oche in ceramica con cui Simonetta Secci rivela l’altra anima del suo percorso artistico che, come nelle incisioni, nasce nell’ambito di una tradizione familiare e perciò visceralmente sentita. Già con gli agnelli di alcuni anni fa aveva avviato una ricerca singolare quanto densa e affascinante sugli animali della casa come strumenti simbolici di usanze, riti e consuetudini che legano insieme attività popolari e quotidiane alle icone sacre del sistema religioso cristiano. E intanto andava sperimentando una particolare modalità compositiva che inserisce, nella terraglia bianca senza smaltatura, fili di ferro stretti in punti nevralgici del corpo dell’animale: memoria di antiche abilità artigianali di riassemblaggio nella rottura del vasellame domestico, oggetti e pratiche indispensabili della sopravvivenza popolare. 

Le oche amplificano la ricerca di Simonetta Secci e ne accentuano il linguaggio iperrealistico e concettuale. Nude e inermi, come gli agnelli, giocano sul contrasto tra vero e falso, tra artificio e naturalezza, tra vita e morte. Eppure non è estranea, al loro carattere, una sottile ironia che investe l’appena visibile sessualità: sono oche maschi, anzi maschilisti, dal momento che ostentano attributi d’orgoglio. Una sarcastica allusione a un costume così diffuso tra gli umani, quel mansplaining che striscia sottotraccia nella comunicazione odierna e di cui con crescente fastidio se ne rileva la persistenza. Così le ceramiche bianche in forma di bipedi si prestano, nell’immaginario dell’artista, a visioni molteplici e apparentemente contraddittorie, in realtà specchio rovesciato di un’umanità in perdita. 

Strumenti docili, le oche come gli agnelli, accolgono su di loro un passato di esistenza quotidiana sedimentato nel tempo (e nella stessa storia dell’arte) e si offrono, oggi, come modelli di vita comunitaria che tanto hanno da insegnare agli uomini di un contemporaneo lacerato e incomprensibile. 

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