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L’amore, la giustizia, l’orrore

Il Limite / 127

L’amore, la giustizia, l’orrore

di Raniero Regni 

Amo troppo il mio paese per essere nazionalista…

 Non detesto che i carnefici

A.Camus, Lettere ad un amico tedesco

 

 

 L’8 agosto 1945, due giorni dopo lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, Albert Camus scrive su “Combat”, l’organo clandestino della resistenza francese contro i nazisti, un editoriale nel quale il grande scrittore francese, che pure combatteva i tedeschi e sarà un eroe della resistenza, condanna la carneficina atomica. “La civiltà meccanica è appena giunta al suo ultimo grado di barbarie”, scrive. L’orrore è un lutto dell’anima e una sconfitta dell’umanità. E bisogna sempre scegliere tra l’inferno e la ragione. E conclude, “quella per la pace è l’unica battaglia che valga la pena di combattere”. La ragion di stato ha provato che quei morti civili innocenti hanno risparmiato altre vite e affrettato la resa del Giappone e la fine della guerra. Ma Camus capisce che anche in una guerra “giusta” esiste sempre un limite invalicabile, una soglia del male che se si supera trasforma le ragioni in torti, la giustizia in ingiustizia.

Camus aveva presente questa idea di limite quando in piena occupazione tedesca scrive le Lettere ad un amico tedesco, nelle quali sente la necessità di spiegare al suo ex-amico ed ora nemico perché lo combatterà a morte. La sua non era una posizione pacifista, né tantomeno neutralista: per conservare la pace non si deve rinunciare alla libertà. Lui decide di partecipare alla guerra di resistenza ma non vuole perdere il senso di umanità che è nel senso del limite, non vuole diventare come il suo nemico che quel limite ha oltrepassato e negato.

Nel 1957 riceve il premio Nobel per la letteratura. A Stoccolma, durante un dibattito con gli universitari svedesi, in risposta alla domanda di un giovane algerino sulla situazione in Algeria e il terrorismo, Camus risponderà: “Credo alla giustizia, ma prima della giustizia difenderò mia madre”. Nel paese africano era in corso la lotta per l’indipedenza dal dominio coloniale francese. Camus, nato e cresciuto in Algeria, la sua vera patria che ha amato e cantato come pochi altri, prende posizione a favore dell’indipendenza ma, di fronte alle escalation di torture e massacri da parte dell’esercito francese e di massacri di coloni da parte degli insorti algerini, critica il terrorismo e il connesso fanatismo ideologico. Se per una giusta causa si uccidono degli innocenti la causa diventa ingiusta. Lui ama la giustizia ma ama anche sua madre. Se qualcuno lancia una bomba in un mercato e uccide sua madre, allora quell’azione diventa ingiusta. L’amore di Camus per la madre, diventa una misura etica per prendere una posizione politica. Tra il giusto terrore e sua madre sceglie sua madre. Il volto amato gli insegna che bisogna essere più giusti della giustizia, l’amore deve sempre sorvegliare la giustizia per impedirle di commettere dei crimini e diventare disumana, la ragione deve sempre essere vigile per non soccombere all’accecamento ideologico.

Di fronte a quello che sta accadendo oggi in Israele e nella striscia di Gaza, penso alla famosa “risposta di Stoccolma”. Lui è un uomo giusto che cerca di conservare il senso dell’umanità e della misura anche nello scontro più duro, rifiutando “la militarizzazione ideologica del pensiero”. Penso a Camus di fronte all’orrore dei delitti di Hamas e delle stragi di civili nella striscia di Gaza. Hegel aveva insegnato la differenza tra dramma e tragedia. Nel primo i cattivi vincono sui buoni ma si sa chi sono i buoni e chi sono i cattivi. In una tragedia, che va a finire male come il dramma, i buoni e i cattivi coincidono. La più ampia questione palestinese-israeliana che si trascina dalla fine della seconda guerra mondiale è una tragedia. Troppi morti da una parte e dall’altra, troppe ragioni e anti-ragioni per poter dipanare la matassa. Ma, come avrebbe detto Camus, salviamo i corpi, facciamo una tregua, non spargiamo altro sangue.

Per la sua Algeria Camus sognava un paese in cui potessero convivere, liberi e in pace, francesi, algerini e ebrei. La storia gli ha dato torto: i francesi sono stati cacciati e oggi domina una opprimente repubblica islamica. Ma, alla fine, la storia gli darà ragione perché l’unità e la convivenza, il dialogo pacifico e la collaborazione sono l’unica strada percorribile. Stesso discorso vale anche per la questione mediorientale che oggi angoscia il mondo. L’amore per il proprio paese e per la propria causa non può giustificare la barbarie.

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