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CHANDRA LIVIA CANDIANI POETESSA

Chandra Livia Candiani è una poetessa milanese , la cui opera è un meraviglioso gioco di versi metaforici in cui i nomi assumono un ruolo straordinario. La sua abilità nel dare vita a parole, spesso in modo sorprendente, conferisce loro una forza che va oltre il semplice significato. I suoi versi sono un flusso continuo di emozioni che affascinano il lettore, una successione di sensazioni che catturano e incantano.

Le sue parole, come chi le conosce bene sa, sono sincere e prive di artifici, ma allo stesso tempo leggere e capaci di nutrire e dissetare l’anima. Sono parole ribelli, ma anche innocenti, come aghi che cuciscono e parole che strappano via lo strato superficiale del discorso. Candiani possiede la straordinaria capacità di percepire la realtà da prospettive inaspettate, offrendoci uno sguardo che ci fa riflettere su concetti fondamentali della filosofia contemporanea occidentale, così come sulla nostra stessa esistenza.

Nelle sue opere, Candiani esplora temi come l’io e il corpo, le relazioni umane e il male, l’universo e gli oggetti, offrendo una prospettiva diversa e a volte sorprendente. La sua scrittura ci regala “un’altra vista” che forse avevamo dimenticato di possedere, offuscata dall’eccesso di stimoli della vita moderna. La sua poesia è una meditazione continua, una riflessione che si snoda come un filo conduttore lungo tutta la vita.

“Nella domanda della sete,” una delle sue opere più riconoscibili, riassume perfettamente il suo stile. In questo testo, le tematiche principali del suo percorso poetico si sviluppano in modo sapiente, come i movimenti di una sinfonia, con temi e frasi che appaiono, si nascondono e poi ritornano in un successivo movimento. Leggendo la sua poesia, si ha l’impressione di seguire un filo conduttore, di partecipare a una meditazione profonda che può durare una vita intera. (R.P.)

L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa cosi:
Ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro 

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Dove ti sei perduta
da quale dove non torni, assediata
bruci senza origine. 

Questo fuoco
deve trovare le sue parole pronunciare condizioni
di smarrimento dire:
«Sei l’unica me che ho torna a casa». 

Non fare parole né fiori
non dire mezzanotte né torna presto
non aggiudicarsi malanni
restare in bilico come fa la pioggia
sui fili del bucato, come una
nuvola deserta, contare momenti magnifici sulle dita, assaporarli come semi sconosciuti e chinarsi fino a terra chinarsi e chinarsi
fino a essere polvere. Ecco, sei salva. 

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Un altro tipo di nascita
ti ha rapita
lasciando qui
l’ingombro del corpo.
Hai il sonno della neve un silenzio disseminato come una città di lucciole in campo nero. 

Siamo foresta qui
io e te da sole,
non siamo gli alberi
non siamo i cespugli
né gli uccelli e nemmeno le impronte degli animali ma gli spazi 

tra gli alberi, gli uccelli, le impronte degli animali: 

chiamami. Siamo state sorelle e adesso stringi il cuore
con un morso, con un nome qualunque, chiamami. 

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Io temo i brutti versi
del commiato
l’animale prostrato l’uggiolare per lo scampo sono bestia delle steppe me ne vado con un balzo scalpitando 

per l’infinito vuoto
che mi scorta
a un volere sconosciuto e grande. 

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