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ANNE CARSON POETESSA

“Vetro, ironia e Dio” di Anne Carson è una raccolta poetica che si apre e si chiude con due immagini di suono, due saggi sonori che avvolgono il lettore in un viaggio profondo e complesso attraverso il mondo della parola e della percezione. Questa edizione italiana, curata e tradotta con cura da Patrizio Ceccagnoli e pubblicata grazie all’impegno di Crocetti, ci offre l’opportunità di immergerci nelle sfumature della poetica di Carson.

Il primo suono, che apre la raccolta, è il ticchettio, un suono che diventa un simbolo per le esperienze di senso e sensi che seguono. Il primo saggio, “Il saggio di vetro in entrata,” è un affascinante viaggio narrativo e lirico che si apre con una dichiarazione di soggettività (“Io”) e si sviluppa attraverso una fusione e una dispersione della voce narrativa nel testo. La presenza di Emily Brontë accompagna la poeta-narratrice e diventa un mezzo per esplorare il trauma della perdita, il distacco dai genitori e la fine di un amore. Carson utilizza la sua abilità narrativa e lirica per creare una narrazione che si fa strada attraverso le emozioni e le esperienze personali.

Il secondo suono, che chiude la raccolta, è il suono come concetto stesso, affrontato nel saggio “Il genere del suono.” Qui, Carson si concentra sulla repressione del femminile, esaminando come le donne sono state storicamente silenziate e censurate nella cultura patriarcale. Utilizzando personaggi mitologici e letterari, come la Gorgone, le Furie, le Sirene e altri, Carson mette in discussione il modo in cui queste figure usano la loro voce e la percezione del loro suono nella società. Il suono diventa un’auto-rivelazione, una proiezione dell’interno all’esterno, e la censura di queste proiezioni è un tema centrale nel discorso culturale patriarcale.

In conclusione, “Vetro, ironia e Dio” è una raccolta poetica che sfida e affascina il lettore con la sua complessità e profondità. Anne Carson crea una sintesi di narrazione, lirica e critica culturale che invita a riflettere sulla natura del suono, della voce e della repressione del femminile nella nostra società. Questa edizione italiana è un contributo prezioso alla comprensione della poetica di Carson, e Patrizio Ceccagnoli merita elogi per la sua cura e traduzione attente. (R.P)

La cucina

La cucina al mio arrivo è calma come un osso.

Nessun suono dal resto della casa.

Aspetto un attimo

poi apro il frigo.

Lucente come un’astronave emana una fredda confusione.

Mia madre vive sola e mangia poco ma il suo frigo è 

     [sempre stipato.

Dopo aver estratto un vasetto di yogurt

da sotto un’astuta composizione di blocchi di dolce di

     [Natale avanzato

avvolti in stagnola e flaconi di medicinali soggetti a

     [prescrizione medica

richiudo la porta del frigo. Un crepuscolo bluastro

riempie la stanza come un mare che rifluisca.

Mi appoggio al lavandino.

I cibi bianchi per me sono i migliori

e preferisco mangiare da sola. Non so perché.

Una volta ho sentito delle ragazze cantare una canzone per

     [il Primo Maggio che diceva:

                             Violante in dispensa

                             rosicchia un osso di montone

                             Come l’ha rosicchiato

                             Come l’ha artigliato

                             Quando si credette sola.

Le ragazze sono le più crudeli con sé stesse.

Qualcuna come Emily Brontë,

che rimase una ragazza per tutta la vita nonostante il corpo

     [da donna,

aveva crudeltà accumulata in tutte le crepe del corpo come

     [neve primaverile.

In varie occasioni possiamo vederla liberarsene

col gesto col quale spazzolava il tappeto.

Parlaci e poi frustalo!

fu il consiglio dato (a sei anni) a suo padre

riguardo al fratello Branwell.

E quando a 14 anni fu morsa da un cane rabbioso, si  

     [diresse a gran passi (così dicono)

in cucina e prendendo delle pinze roventi dalla stufa le

     [applicò

direttamente al proprio braccio.

La cauterizzazione di Heathcliff durò più a lungo.

Più di trent’anni nel tempo del romanzo,

da quella sera d’aprile quando corse fuori dalla porta della

     [cucina

e svanì nella brughiera

perché aveva sentito una frase a metà di Catherine

(“Mi degraderebbe sposare Heathcliff”)

fino al mattino selvaggio

in cui il servo lo trovò morto e sorridente

sul letto bagnato dalla pioggia al piano superiore di Cime

     [Tempestose.

Heathcliff è un demone del dolore.

Se fosse rimasto in cucina

abbastanza a lungo per ascoltare l’altra metà della frase di

     [Catherine

(“così non saprà mai quanto lo amo”)

Heathcliff sarebbe stato liberato.

Ma Emily sapeva come catturare un demone.

Al posto di un’anima infuse in lui

il costante, freddo distacco di Catherine dal suo sistema

     [nervoso

ogni volta che prendeva fiato o formava un pensiero.

Troncò a metà tutti i suoi momenti,

lasciando aperta la porta della cucina.

Non mi manca familiarità con questa vita a metà.

Ma c’è dell’altro.

La disperazione sessuale di Heathcliff

non sorse da alcuna esperienza analoga nella vita di Emily

     [Brontë,

per quanto ne sappiamo. La domanda,

riguardante gli anni di crudeltà interiore necessari a

     [trasformare una persona in un demone del dolore,

le venne in una cucina dolcemente illuminata dal fuoco

(“kichin” nella grafia di Emily) dove lei

e Charlotte e Anne sbucciavano le patate insieme

e inventavano storie con il vecchio cane ai loro piedi,  

     [Keeper.

Esiste un frammento

di una poesia che scrisse nel 1839

(circa sei anni prima di Cime tempestose) che dice:

                              Quell’uomo di ferro è nato come me

                              E fu una volta un ragazzo ardente:

                              Nell’infanzia dovette sentire

                              Tutta la gloria di un cielo d’estate.

Chi è quest’uomo di ferro?

La voce di mia madre mi attraversa,

dalla stanza accanto dov’è sdraiata sul divano.

Sei tu cara?

Sì Ma’.

Perché non accendi la luce?

Oltre la finestra della cucina guardo il sole d’acciaio 

     [d’aprile

sferrare le sue ultime strisce gialle

attraverso uno sporco cielo d’argento.

Ok Ma’. Che c’è per cena?

                                                 (Da Il saggio di vetro)

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