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Pensare diversamente per agire diversamente

Il Limite / 124

Pensare diversamente per agire diversamente

di Raniero Regni

 

Non si può risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo

Einstein

 

 Negli anni Settanta del secolo scorso, la Exxon Mobil, un gigante nell’estrazione dei combustibili fossili, commissionò ad un gruppo di scienziati una ricerca sugli effetti dell’emissione della Co2 nell’atmosfera. Le conclusioni a cui arrivarono furono una previsione esatta di quello che sta oggi accadendo. Quegli scienziati scrivevano, “la scienza è concorde nel ritenere che molto probabilmente l’umanità sta influenzando il clima globale attraverso il rilascio di anidride carbonica dovuto ai combustibili fossili…Abbiamo una finestra di cinque-dieci anni prima che il bisogno di decisioni radicali riguardo al cambiamento delle strategie energetiche diventi urgente…Una volta che gli effetti saranno misurabili, potrebbero non essere più reversibili”. I maggiori responsabili dell’inquinamento globale sapevano ma quei dati sono stati resi pubblici solo nel 2015.

Che morale possiamo trarre da questa storia? La pima constatazione è che esiste una vera e propria guerra per il clima, una guerra combattuta innanzitutto sul piano dell’informazione e della conoscenza. Le aziende che operano con i combustibili fossili, che sono poi il perno dell’economia mondiale, hanno portato avanti coscientemente una campagna di disinformazione per contrastare le evidenze scientifiche. E ci sono riuscite per decenni. Se si considera che la prima conferenza sull’Ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite è del 1992, vuol dire che sono riuscite ad ottenere il silenzio per almeno venti anni. È stata la strategia del negazionismo totale. Poi, di fronte alle evidenze prodotte dalla comunità scientifica sempre più concorde sull’effetto serra e delle catastrofi naturali sempre più frequenti, hanno cambiato strategia, distogliendo l’attenzione attraverso forme di “distrazione di massa”. Evidenziando solo gli aspetti eccezionali. Poi, al crescere della presa di coscienza hanno usato la strategia del dubbio, affermando che non tutti gli scienziati erano concordi. Infine, quando di dubbi non ce ne erano più, si sono spostate sulla strategia della procrastinazione, ovvero una forma di negazionismo più soft: il problema c’è ma non è così grave, possiamo adattarci e abbiamo ancora tempo.

Ancor più subdolamente, si è cercato di spostare il problema dalle scelte politiche e strategiche a quelle individuali. Si è detto che erano i comportamenti individuali quelli che dovevano cambiare, scaricando sulle singole persone la responsabilità Il che è solo in parte vero, ma solo in parte. Si può e si deve cambiare modi di vivere e consumare individualmente, mangiare meno carne o prendere meno l’aereo. Ma fissarsi solo sulle azioni dei singoli, come ha scritto il climatologo M. Mann, indebolisce la pressione che è necessario esercitare sui governi affinché chiedano il conto alle grandi imprese inquinanti.

Si tratta di una vera e propria guerra psicologica a cui bisogna rispondere con un nuovo modo di pensare e di vivere, a livello individuale e a livello politico. Le soluzioni tecnocratiche non ci salveranno dagli effetti negativi, serviranno solo in parte a difenderci. È necessario invertire la rotta e quest’impresa appare colossale e spaventosa. Ma per cambiare il sistema serve un cambiamento sistemico, nel tutto e nelle parti, a livello di pensiero e di comportamento, a livello di singoli e di governi. Non si tratta solo di scegliere un’auto ibrida o elettrica piuttosto che una a motore endotermico, ma si tratta di incentivare a livello politico il passaggio ad un’economia globale pulita e verde.  Usare le risorse della scienza ma anche quelle dell’arte e della letteratura per aiutare le persone a cambiare. E poi, informare, informare. E poi, educare, educare. Come si prova a fare, modestamente ma tenacemente, nel piccolo di questa rivista e di questa rubrica.

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